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Autostrade al bivio tra regole e authority

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il quadro regolatorio italiano del settore è estremamente complesso e frutto di stratificazioni storiche e normative. L’Italia è una delle “patrie” della “concessione”, con investitori prima pubblici e poi privati molto attivi nel settore, storicamente molto ricco di ricavi.

Mentre per certi aspetti (l’uso della concessione, appunto, ma anche l’introduzione di innovazioni tecnologiche come il tutor o il telepass) l’Italia è stata sempre leader, sul fronte della regolazione, cioè del controllo delle rendite di monopolio associate alla concessione, abbiamo molto da imparare da culture regolatorie più mature.

Infatti, le problematiche regolatorie principali esistenti in Italia sono tutte figlie di scelte politiche tradotte in meccanismi regolatori (come la versione italiana del “price cap”) piuttosto lontani dalla teoria e dalle buone pratiche internazionali.

Innanzitutto specifichiamo cosa è il price cap, definito dalla Treccani come “metodo di regolazione dei prezzi dei servizi pubblici volto a vincolare il tasso di crescita di un aggregato di prezzi o tariffe. Il regolatore stabilisce il massimo saggio a cui un insieme di prezzi è autorizzato a crescere per un certo numero di anni e nel rispetto di questo vincolo aggregato l’impresa è libera di fissare i prezzi e le tariffe che desidera”.

Il price-cap non contiene (in nessuna delle quattro versioni esistenti) una componente incentivante esplicita, contrattata con il regolatore e da esso verificata. Inoltre, non esiste alcun meccanismo di revisione periodica delle traiettorie tariffarie, necessario a trasferire ai consumatori gli eventuali aumenti di efficienza ottenuti nel periodo regolatorio precedente.

Un’altra questione è che il price-cap in Italia è dominato dalla componente investimenti, che annulla ogni effetto incentivante e, anzi, spinge al gold plating: qualunque investimento approvato dal regolatore poco attento nel verificarne la reale necessità, viene ripagato dagli utenti grazie alla loro alta disponibilità a pagare e alla rigidità della domanda, priva di vere alternative.

Infatti, gli investimenti sono considerati tutti uguali, quando in realtà non dovrebbero esserlo: quelli (endogeni), che riducono i costi di gestione, dovrebbero essere pagati interamente dal gestore senza alcun aumento di tariffa; quelli (esogeni), decisi dal regolatore, sono invece da remunerarsi in tariffa. In assenza di distinzione, ad esempio, la sostituzione di un asfalto con uno più durevole nel tempo e dunque più economico, viene pagata due volte: la prima con aumenti tariffari e la seconda con il mancato trasferimento ai consumatori dei guadagni di efficienza, in termini di riduzione della tariffa nel periodo regolatorio successivo.

Inoltre, gli investimenti sono “spalmati” sull’intera rete in concessione, con l’effetto che concessioni piccole necessitano di cofinanziamento statale (oltre a forti aumenti tariffari) e altre, Autostrade per l’Italia per prima, possono autofinanziare ogni investimento grazie alle dimensioni e al traffico sulla loro rete. Questo introduce un elemento di arbitrarietà territoriale privo di senso economico: non vige né un principio di condivisione dei costi a livello nazionale (chi ha già l’autostrada paga per chi non ce l’ha ancora) né quello, opposto, di chi consuma paga (le autostrade nuove sono pagate in misura minima dagli utenti diretti).

Nessuna autostrada infine, ha mai applicato tariffe differenziate (per orari, ad esempio), utili a meglio internalizzare i costi della congestione e ottimizzare i flussi, ad esempio spostando il traffico pesante nella fascia notturna.

Prospettive future: il ruolo dell’Autorità

Resta ancora molto da fare per perseguire efficienza nel settore e protezione del consumatore. Il confronto con le esperienze estere risulta quindi molto utile, in particolare per ciò che concerne lo studio di buone e cattive pratiche.

L’avvio della Autorità di Regolazione dei Trasporti rappresenta sicuramente un elemento fondamentale. Tuttavia, la mancata attribuzione, ad oggi, delle competenza sulle concessioni in essere, costituisce un forte limite alla sua azione di protezione. Per contro, l’Autorità sarà concedente per tutte le concessioni nuove, dove potrebbe sperimentare meccanismi regolatori e contrattuali meno rudimentali, soprattutto riguardo all’inclusione in tariffa degli investimenti (distinguendo, ad esempio, tra investimenti endogeni ed esogeni), alla distribuzione del rischio (traffico, ma non solo) e all’efficientizzazione attiva dei gestori.

Molti sono i compiti dell’ART dovrà affrontare pur disponendo, ad oggi, di strumenti limitati, soprattutto in questo settore. È però auspicabile che l’ART si occupi incisivamente delle autostrade, cioè di un mercato che incide direttamente sui costi di milioni di cittadini e imprese, mostrando come una regolazione efficace sulle nuove concessioni sia in grado di ridurre le rendite dei gestori e ridarle ai consumatori.

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