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Cosa penso del “caso” Deodato

Il Consiglio di Stato si è pronunciato lo scorso martedì sui ricorsi contro gli annullamenti prefettizi delle nozze omosessuali contratte all’estero, sostenendo la loro non trascrivibilità per la mancanza di un “ontologico” requisito essenziale: la diversità fra i sessi. Oltre alle schermaglie fra associazioni del mondo lgbt e i movimenti contrari alle nozze gay, si è scatenata una tempesta mediatica conto Carlo Deodato, il giudice estensore della sentenza, accusato di integralismo cattolico e, sostanzialmente, di aver lasciato che le proprie convinzioni influenzassero la stesura della pronuncia.

Per il Consiglio “risulta agevole individuare la diversità di sesso dei nubendi quale la prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio”, secondo le regole del codice civile e “in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto”, oltre che all’ordine naturale tradotto nel diritto positivo. Ritiene anche che “il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate […] in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi”. Non si può superare, dice il Collegio, “l’infrangibile ostacolo dell’art.29” della Costituzione, peraltro sulla scorta di giurisprudenza della Corte Costituzionale, che recita che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

Ebbene, si possono discutere le sentenze? Certamente, ed io sono in profondo disaccordo con lo spirito della pronuncia, quando fa propria la millenaria tradizione culturale e giuridica afferente al matrimonio: le cose, fortunatamente, cambiano ed è innegabile che oggi l’idea del matrimonio fra persone dello stesso sesso sia un elemento accettato e promosso da un numero sempre crescente di individui a livello globale. È possibile criticare da un punto di vista strettamente giuridico la sentenza? Molto difficile. Possono non piacere le conclusioni cui è giunto il giudice amministrativo, ma sono assai solide giuridicamente: da questo punto di vista, è innegabile che il dettato dell’articolo 29 resti un formidabile ostacolo, nella sua lettera, alla interpretazione giuridica dei tribunali in favore del matrimonio omosessuale, forse inimmaginabile dai Padri Costituenti.

Allo stesso tempo, trovo molto azzardato accusare Deodato di avere redatto la sentenza – in ciò forse forzando con l’ipnosi il volere degli altri membri del Collegio, profittando della polverosa atmosfera di Palazzo Spada – lasciandosi guidare dalle proprie intime convinzioni. Possiamo dedurre, da alcuni dei suoi retweet, che sia contrario al matrimonio omosessuale? Forse. Possiamo, tuttavia, dire che abbia artatamente costruito una sentenza? La risposta è no. In questo non solo fa testo la solidità giuridica della pronuncia, nonché il curriculum di Deodato, ma ci troveremmo nello stesso terreno minato della vicenda dell’Avvocato di Stato Giustina Noviello, che aveva difeso di fronte alla Corte Costituzionale la norma Fornero sul blocco degli adeguamenti delle pensioni al costo della vita, accusata si marcata antipatia verso il Presidente del Consiglio per alcuni suoi tweet (ne parlavo proprio su Formiche).

La imparzialità dei giudici, come quella dei pubblici funzionari, non può essere identificata con la pretesa che essi vivano in una sorta di atarassia ideologica: semplicemente, non è così. Chiunque abbia in carico una funzione pubblica ha il dovere di essere imparziale nell’applicarla ma resterà, in ogni momento, sé stessa o sé stesso. A meno di non voler affidare a dei robot tali funzioni, esse continueranno ad essere in capo a donne e uomini che ragioneranno con la propria testa e i cui atti saranno sempre criticabili o censurabili ma solo in base ai criteri propri secondo cui sono stati formati. O vogliamo credere che l’esercizio di funzioni pubbliche provochi lobotomizzazione dell’individuo? Se passasse la tesi secondo la quale la mera esternazione d’opinione si riflette sulla qualità del lavoro, non solo si negherebbe la realtà dei fatti, ma, tanto per fare un esempio, dovrebbero essere cancellate tutte le sentenze della Corte Costituzionale scritte da giuristi nominati dalla politica, o screditare ogni teoria promossa da accademici che apertamente sostengano una parte politica. Legare un’opinione alla capacità professionale e la validità dell’operato di qualcuno è, quindi, un’idea che va rifiutata in toto, ricordando, incidentalmente, che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21 Cost.).

Ecco perché chi ritiene che quelle che io considero bizzarrie come la cosiddetta “teoria gender” o che sia finalmente venuto il momento di introdurre nel nostro ordinamento le nozze omosessuali, con pienezza di diritti e doveri, deve far sì che il Parlamento e il governo si pronuncino presto e bene su questi temi di civiltà, condannando ogni forma di incitamento all’odio omofobico. E magari ricordando chi ha votato cosa quando si troverà davanti le urne.

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