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Anche i burocrati hanno un cuore: e allora?

La vicenda che ha visto protagonisti l’Avvocato dello Stato Giustina Noviello e Riccardo Puglisi, economista vicino al partito “Italia Unica” di Corrado Passera, fornisce una occasione preziosa su una riflessione che trascende il caso specifico: può il civil servant esternare le proprie preferenze politiche o comunque sconfinare nella polemica politica, soprattutto sui social network? Io credo di sì, e argomenterò il perché. La Noviello ha difeso di fronte alla Corte Costituzionale la norma Fornero contenuta nel cosiddetto decreto “Salva Italia”, che bloccava per gli anni 2012 e 2013 gli adeguamenti delle pensioni al costo della vita per gli assegni superiori a circa 1.500 euro lordi al mese. Lo scorso 8 maggio la Corte ha dichiarato incostituzionale quella norma, obbligando, come noto, il Governo a restituire almeno parte del mancato adeguamento. Puglisi, sfruculiando nel web, libero e pubblico per definizione, ha recuperato una serie di cinguettii dell’Avvocato, dai quali trasparirebbe una non spiccata simpatia verso il Capo del Governo. Da qui l’accusa secondo la quale le affermazioni di Noviello non sarebbero compatibili con il suo ruolo, che gli impone di difendere gli interessi del Governo Renzi di fronte alla Consulta. Ed anzi – salto logico quadruplo carpiato – questo porterebbe al sospetto che ella non abbia fatto bene il proprio lavoro, magari affondando di proposito la causa del Governo.

Alt. Qui il tema meritevole di discussione è se Noviello, in qualità di civil servant, possa esprimere posizioni sul Governo e sull’agorà politica in generale, non se il suo – presunto – orientamento politico infici o meno il suo lavoro, che, a mio modo di vedere, è un nonsense logico. Sarà uno shock saperlo, ma anche i burocrati hanno un cuore che batte. E che può battere a destra, a sinistra o al centro, o rifugiarsi una serena atarassia politica. O vogliamo credere che l’esercizio di funzioni pubbliche provochi lobotomizzazione politica dell’individuo? E, d’altronde, se passasse la tesi secondo la quale la mera esternazione d’opinione si riflettesse sulla qualità del lavoro svolto, non solo si negherebbe la realtà dei fatti, ma, tanto per fare un esempio, dovrebbero essere cancellate tutte le sentenze della Corte Costituzionale scritte da giuristi nominati dalla politica, o screditare ogni teoria promossa da accademici che apertamente sostengano una parte politica. Legare un’opinione politica alla capacità professionale e la validità del proprio operato è, quindi, un’idea che va rifiutata in toto. Val la pena ricordare che secondo la Costituzione Italiana “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21), e che solo con legge possono stabilirsi “limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero” (art. 98). È poi la stessa Costituzione a ricordare che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” (ancora art. 98) e che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” (art. 54). La nostra carta fondamentale, insomma, permette chiaramente ai pubblici ufficiali si manifestare liberamente il proprio pensiero (e ci mancherebbe) ma lega questa fondamentale libertà a limiti e cautele correlati alla particolare funzione che essi svolgono.

Il punto, quindi, risiede nella sottile linea dell’opportunità e dell’approccio che il singolo individuo utilizzi per l’esercizio del suo diritto. Premesso che criticare il Capo del Governo non significa automaticamente criticare il Governo – né quale entità politica né quale organo costituzionale – io ritengo che per il pubblico funzionario far valere pubblicamente la sua opinione sui temi di rilevanza generale sia un dovere civico, oltre che un diritto. Egli o ella non è un automa il quale, premendo il bottone sulla schiena, opera un compito: è parte dello Stato, che deve interagire in un quadro di altissima complessità giuridica, contabile, manageriale. Perché nascondere un’opinione qualificata? Di cosa si ha paura? E chi ha paura? L’obiezione seria, naturalmente, è che far trasparire una preferenza verso una parte politica o un’altra potrebbe incidere sul principio di pari trattamento dei cittadini sulla base della imparzialità della macchina pubblica. Vero. Tuttavia, questa pur comprensibile prudenza è figlia di una immagine antica di una amministrazione fordista, da catena di montaggio, di impersonali mezzemaniche che battono timbri a tempo. È, molto semplicemente, una questione di regole e di responsabilità: va da sé che l’opinione espressa non solo non deve essere urlata, ma coerente con i paletti di “disciplina e onore” che la Costituzione richiede. O accompagnata da sana ironia: perché no? È, dunque ben possibile criticare le posizioni di chi riveste pro tempore la funzione di Ministro o Presidente del Consiglio, ma detta critica dovrà restare saldamente nel confine di quanto previsto dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici (contemperando, naturalmente, ogni necessaria cautela tesa a proteggere la vita privata del soggetto). Ogni esternazione, naturalmente, porterà con sé un carico di responsabilità, e potrà essere usata contro chi la avanzi. Una regola aurea, da molti adottata, è quella di non entrare nel merito di questioni che ricadano direttamente sotto la propria sfera di competenza, per ovvi motivi di opportunità: ma sarebbe impensabile, ad esempio, che i dipendenti pubblici non possano criticare la riforma della PA al momento in cantiere o che agli insegnanti venga interdetto avanzare riserve sulla riforma della scuola.

Non solo, dunque, non esiste alcuna automatica correlazione fra una legittima posizione personale e qualità del proprio lavoro per la collettività, ma assumersi la responsabilità di dire come la si pensa, all’interno di un quadro di regole, significa metterci la faccia. Non è un obbligo, ovviamente. Personalmente, tuttavia, apprezzo molto chi non nasconde il proprio pensiero, accompagnandolo da coerenza e serietà. Anche da quella cosa fuori moda che si chiama buona creanza. E non preoccupatevi: la rete è piena di watchdog!

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