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L’Italia, Renzi e l’Isis. Il Palazzo dopo la strage di Parigi

Il presidente del Consiglio, tra una riunione e l’altra imposte dall’emergenza parigina, e dalla paura che al sangue versato nella capitale francese se ne aggiunga altro programmato dai terroristi islamici nei paesi della vecchia Europa, disunita nella lotta al terrorismo nonostante l’Unione annunciata e praticata a parole con tanto di Parlamento, Commissione ed altro, ha annunciato e assicurato che “l’Italia c’è”. Cioè, c’è il governo. C’è la vigilanza degli organismi di sicurezza, di prevenzione e di lotta. Dovrebbe esserci anche la politica, che è in fondo, o dovrebbe essere, a monte di tutto per la capacità attribuitole dal buon senso di esprimere indirizzi, di sostenere le istituzioni, e non di combatterle, o addirittura di cercare di rovesciarle, come pretendono alcuni partiti e partitini di lotta certa e di governo incerto. Ma purtroppo il buon senso è diventata merce rara nella politica italiana.

Di fronte all’emergenza terroristica, che ci riporta con la memoria, fra l’altro, alla tragedia americana dell’abbattimento delle Due Torri di New York, troppo presto dimenticata dalle nostre parti, l’Italia deve esserci – per ripetere il concetto di Matteo Renzi – nonostante tutto. Nonostante Vincenzo De Luca in Campania e Rosario Crocetta in Sicilia. Nonostante le regioni che non si rassegnano a tagliare i loro sprechi – ad eliminarli, è inutile neppure pensarci – e minacciano di tagliare piuttosto i già scarsi e insufficienti servizi che sono tenute ad assicurare ai cittadini. Nonostante la minoranza del Pd, e i suoi sostenitori e simpatizzanti esterni, anche a livello finanziario, abbia dichiarato guerra all’annuale legge di stabilità, ex finanziaria, per la possibilità – pensate un po’ – di portare il contante consentito per le spese da 1000 a 3000 euro, come se 2000 euro in più fossero decisivi per fare più forti gli evasori, e persino i terroristi, vista la tragica attualità del loro lavoro.

I nonostante non finiscono qui. L’Italia c’è, deve esserci, nonostante le convulsioni di quello che fu il centrodestra, dove gli sforzi di tutti, o quasi, sono diretti a riorganizzarsi non attorno a un programma consono alle vecchie e nuove emergenze del Paese e del mondo, ma a cercare ancora il successore di un Berlusconi che, come sempre, e a dispetto di parole o segnali in senso contrario, non riesce a fare un passo né indietro né di lato, come dice scherzando il suo amico Fedele Confalonieri. Cosa, questa, che condanna il centrodestra a lasciare il campo dell’opposizione, e dell’alternativa al governo di turno, al movimento del comico Beppe Grillo. Di cui è facile immaginare la capacità, cioè incapacità, di esserci in una contingenza così tragica come quella imposta da troppo tempo dal terrorismo.

E nonostante, infine, una magistratura che ha ritenuto lesiva della sua indipendenza, autonomia eccetera eccetera la riduzione delle ferie delle toghe. E si trastulla con le correnti come un partito qualsiasi. Correnti che già erano discutibili come impostate sulle cosiddette ideologie, figuriamoci sul potere, cioè sulla difesa di quello che il magistrato di turno detiene o sulla scalata a quello che vuole conquistare.

L’Italia c’è, ha detto Renzi con la baldanza e l’ottimismo di sempre. Agli italiani non resta che sperare sia vero.

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