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Petrolio, tutti i trambusti fra Russia, Iran e Arabia Saudita

Il vertice di Doha tra i più grandi produttori di petrolio che si è svolto domenica si è chiuso con un nulla di fatto: non ci sarà nessun congelamento delle produzioni. I mercati hanno subito reagito negativamente, facendo segnare sugli asiatici una caduta di 7 punti percentuali del prezzo al barile, il maggiore ribasso degli ultimi due mesi (che erano invece stati segnati da un progressivo rialzo dei prezzi).

LE REAZIONI DEI MERCATI

Ora “un pullback a 30 dollari al barile è abbastanza probabile”, ha commentato l’analista di mercato di IG (leader mondiale nel trading online) Angus Nicholson in una nota ai clienti citata da MarketWatch, perché “le speranze su un accordo a Doha erano l’unica cosa che avrebbe potuto guidare il [prezzo del] petrolio”. Lo scenario nell’immediato: la mancata risoluzione si porta dietro cali finanziari in diversi settori, per primo quello energetico e delle materie prime. Il listino della borsa di Mosca è già crollato del 4 per cento. Analisti di Unicredit hanno però spiegato al Sole 24 Ore che “la pressione potrebbe avere anche breve durata dato che il rally precedente del prezzo del greggio era stato guidato non soltanto dalle aspettative di un accordo a Doha, ma anche dalla tendenza al miglioramento dei dati macroeconomici cinesi”.

IL RUOLO DELL’IRAN

L’intesa, concordata in una sorta di pre vertice tenutosi due mesi fa tra Russia e Arabia Saudita, è saltata perché Riad ha rifiutato di approvare qualsiasi accordo che non prevedesse l’inclusione dell’Iran, che però non ha nemmeno partecipato al summit. Teheran non vuole congelare le proprie produzioni in un momento in cui lo sblocco delle sanzioni internazionali, ottenuto dopo la chiusura del deal sul nucleare, sta facendo recuperare fette di mercato nelle esportazioni (non solo) energetiche: obiettivo degli ayatollah, arrivare al livello di produzione pre-sanzioni (più o meno 4 milioni di barili al giorno).

LA MOSSA SAUDITA

Ed Morse, capo del dipartimento che si occupa degli studi sulle materie prime alla Citigroup Inc, ha sottolineato a Bloomberg che il messaggio lanciato dai sauditi (che avevano già minacciato di far saltare tutto se l’Iran non avesse accettato le condizioni dell’accordo) è chiaro: non vogliono perdere fette di mercato, cosa che il congelamento delle produzioni potrebbe comportare, perché sanno che poi in futuro avranno grosse difficoltà per riprendersele.

LE LINEE GEOPOLITICHE

Quello in Qatar, che ha visto la partecipazione di 16 delegati di alto livello di altrettanti paesi produttori, è stato il primo tentativo di coordinare le produzioni tra nazioni che fanno parte dell’Opec (Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) e alcune che ne sono escluse come la Russia e il Messico, negli ultimi 15 anni. La situazione è questa: i sauditi hanno un forte appeal sulla stragrande maggioranza dei Paesi dell’Opec, a cui sono collegati per ragioni geopolitiche ed ideologiche (Riad è il riferimento dell’Islam sunnita, confessione politica di molti di questi); altri membri, come l’Iran (Repubblica islamica sciita) o il Venezuela, tendono a muoversi invece per formare un altro asse di influenza cercando la sponda russa.

“Il fatto che l’Arabia Saudita ha bloccato l’operazione è un indicatore di quanto la sua politica petrolifera è guidata dal conflitto geopolitico in corso con l’Iran”, ha detto sempre a Bloomberg Jason Bordoff, direttore del Centro sulla politica energetica globale alla Columbia University ed ex funzionario della Casa bianca.

Sauditi e iraniani si trovano in una fase particolarmente tesa dei rapporti, che si specchia sulla situazione in Siria: nonostante la flebile tregua, ormai in piedi soltanto sulla carta, l’Iran ha inviato soldati regolari e corpi d’élite a fornire sostegno diretto al regime di Bashar el Assad, con il fine di influenzarne la sfera ideologica (aspetto che gli alawiti baathisti, più laici, non gradiscono) per veicolarne la politica (quello che fa con i partiti/milizia in tutto il Medio Oriente); dall’altra parte, l’Arabia Saudita, continua a fornire armamenti e fondi ai ribelli sunniti con un fine del tutto analogo.

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