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Ecco pregi e difetti della Pubblica amministrazione italiana

Il professor Bruno Dente è stato da poco nominato – ai sensi dell’articolo 1 comma 657 della legge di stabilità per il 2016 – commissario della Scuola nazionale di amministrazione, la Sna. Dente, ordinario di Analisi delle politiche pubbliche al Politecnico di Milano, è uno dei pochi italiani studiosi di pubblica amministrazione, apprezzato anche all’estero. C‘è da chiedersi, però, se è di questo tipo di professionalità (cioè di una professionalità di tipo accademico) che ha bisogno la Scuola nazionale di amministrazione.

La Sna è stata creata con il testo unico del pubblico impiego del 1957 (allora si chiamava Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione), probabilmente sulla scia del successo che stava avendo la francese École Nationale d’Administration, l’Ena. La scuola italiana non ha mai raggiunto il successo e la fama dell’Ena. A chi osserva la nostra scuola di pubblica amministrazione dall’esterno (cioè dall’estero), la causa principale del suo insuccesso balza subito agli occhi: nella realizzazione del disegno del Testo unico del 1957 e delle sue modifiche (sopra tutto qui va citata la riforma Cassese del decreto legislativo 29 del ’93 con la quale si prefigurava un accesso alla dirigenza tramite un percorso formativo ad hoc come avviene in Francia con l’Ena) si è fallito perché ci si è rifatti al modello di formazione universitaria. La formazione erogata dalla Sna fa perno sulla figura del “docente stabile” equiparato ad un professore ordinario di ruolo. Vengono distaccati alla Sna, infatti, come docenti stabili sia professori universitari che dirigenti che aspirano al titolo di professore e al tempo libero di un professore.

All’ENA non esiste un corpo stabile di docenti. All’Ena esiste, invece, un nucleo di esperti in progettazione della formazione, laddove alla Sna i progettisti di formazione sono sconosciuti. All’Ena la formazione è pianificata da esperti ed erogata da operatori cui è stato insegnato come trasmettere il loro “saper fare”. Sfugge ai più che l’Ena è una école d’application dove si insegna il «saper fare» e non il “sapere”, teorico peraltro già acquisito nel corso degli studi universitari e certificato dai vari concorsi. All’Ena non si studia, per intendersi, il codice degli appalti, ma si impara a gestire un dossier appalto, con la modulistica, i capitolati e la tempistica. Da noi si ripetono i vari corsi universitari in modo da annoiare i nostri corsisti.

Nell’evidente tentativo di risparmiare, nel 2014, con il Decreto legge 90, vengono soppresse le altre scuole che da 1957 si erano sviluppate (Scuola delle Finanze, Scuola dell’Interno, Scuola delle Amministrazioni Locali, eccetera) replicando l’errore di fondo della Sna e cioè il modello universitario orientato alla trasmissione di “sapere” e non di “saper fare”. Per risparmiare, anziché le Scuole, sarebbe stato opportuno sopprimere i docenti stabili (e ridurre le pletoriche macchine amministrative che girano attorno ai docenti stabili). E pensare che non ci sarebbe bisogno di imitare gli stranieri. Basterebbe valorizzare le nostre best practice.

In Italia esistono per lo meno due ottime strutture di formazione del dipendente pubblico: la scuola dell’Inps, creata dall’ingegner Billia come perno della sua oramai mitica riforma dell’Inps degli anni 80, e la scuola dell’Inail.
I migliori sistemi stranieri di formazione del pubblico funzionario (non esiste solo il sistema francese, ottimo è anche il sistema tedesco basato sulla formazione di tipo duale e interessanti sono vari ibridi, quali quello danese e quello olandese) e le scuole dell’Inps e dell’Inail si pongono come obiettivo di fondo quello di ridurre al minimo la formazione per affiancamento. Buona parte delle disfunzioni delle nostre amministrazioni trovano la loro origine nella formazione per affiancamento.

Il nostro laureato vincitore di concorso, impara a lavorare imitando i colleghi. Questo ha una serie di conseguenze disfunzionali: ogni ufficio sviluppa le proprie prassi e, quindi, non dialoga con altri uffici che hanno prassi diverse; le prassi si tramandano oralmente sono opache e lasciano spazio alla libera interpretazione (arbitrio?) del funzionario.

Ai sensi della legge 124 del 2015 ora il governo dovrà procedere alla vera riforma della formazione del nostro pubblico dipendente. Qui esprimiamo la speranza che ci si rifaccia alle esperienze positive dell’Inps e dell’Inail e che si abbandoni il modello universitario.

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