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La famiglia welfare non sarà più sostenibile

I valori, le paure, l’amore, nella società italiana.
L’Istat quando descrive le nostre famiglie, da alcuni anni, segnala due dati allarmanti sulle nuove generazioni: giovani neet che né studiano né lavorano; figli in “bulimia” di titoli di studio che non si riesce a far fruttare.
Così, si sa, costruire nuovi nuclei è praticamente impossibile, più precisamente, fino ai 29 anni per il sud e fino ai 30 anni per il nord. Questo stesso dato ci mostra però che gioca contro non soltanto il fattore economico, perché altrimenti ci saremmo potuti aspettare una tendenza a cifre inverse, se considerassimo strettamente il fattore reddito. A giocare la loro parte ci sono infatti anche l’educazione e, soprattutto, quel tema caldo che va sotto l’etichetta “famiglia-welfare”.

Mentre diminuiscono i padri assenti, (presi dalla carriera, o semplicemente da una incapacità tipica delle generazioni precedenti, “chi non ha ricevuto una carezza non sa qual è il momento giusto per farla”), esplode il caso dei separati che vorrebbero essere molto più presenti nella vita dei loro bambini: si sentono “orfani di figlio”.
Raccontano “in case differenti, talora senza più un balcone, guardo la luna. Sperando di farlo allo stesso minuto. L’unica cosa in comune, ora che la casa ha cambiato provincia”.
Un uomo che rimanda a un satellite lontano, per accorciare le distanze. Si dirà. Cambiano infatti le abitudini, e a volte il tenore di vita. C’è chi va in una grande città per cercare un lavoro e chi torna nel paese per risparmiare sull’affitto.

C’è chi di notte mette la merce nei banconi del supermercato, per sei euro a ora, comprese di ferie, malattia ecc. Ma non ci vive, solo 550 euro.
Poi di giorno va a pulire case. Ma arriva a 800 circa. E deve pagare i debiti del marito che erano intestati a lei. Ha dovuto prendere un prestito di 6000 euro che sta restituendo.
E’ Nicoletta. Braccia forti e capelli ricci, nerissimi, faceva girare la testa con le sue gambe lunghe e i congiuntivi incerti.
Adesso l’unica donna italiana in questa notte di prima estate. Posta una foto con la sua bimba e il cagnolino: “Eccoci di nuovo riuniti con i colleghi di lavoro su una piccola e accogliente spiaggia di Fiumicino per festeggiare il compleanno di Jean. Auguri grande capo per un mese”.
La notte, di chi aspetta il turno di lavoro. La povertà scandisce i tempi. Altre 500 cassette di frutta, da sistemare nei raparti, prima che le saracinesche salgano.

C’è una componente culturale che precede l’aspetto economico sulla crisi della famiglia, dicevamo, infatti dopo il referendum del 1974, chi ha votato a favore, e i primi genitori separati, hanno iniziato a trasmettere dei valori, in parte, diversi: su riti religiosi, su legami e priorità.
L’emancipazione femminile, mai del tutto attuata probabilmente, ha spinto a mettere la realizzazione professionale allo stesso livello del matrimonio. Le donne nate negli anni sessanta hanno cercato di trasmettere alle figlie il valore o il dovere, il diritto, di garantire da sole al proprio sostentamento, di mirare al raggiungimento della laurea, all’aspirazione per posizioni apicali. Salvo farsi contemporaneamente carico degli oneri familiari, (per questo arrivarci più mature, ma certamente prima o poi portatrici sulle proprie spalle delle tradizionali attenzioni alla cura dei cari), in assenza di una società pronta, ricca di servizi, capace di puntare sul terzo settore, sulla sussidiarietà, su aziende e strutture (coordinate che rappresenterebbero anche occupazione o maggiore socialità).

Infatti, con l’innalzamento dell’aspettativa di vita vi è un crescente bisogno di cure, di luoghi per la quinta età, come la scienza e la stampa l’hanno battezzata in questi giorni.

E siamo sicuri che possa essere la famiglia l’istituzione su cui poggiare la fatica, l’organizzazione, gli equilibri? Famiglie scosse dal dolore, con nuovi preoccupazioni di liquidità, con legami frastornati, incapaci di far fronte contemporaneamente a nuovi diritti della sfera privata e vecchi doveri nella sfera pubblica. A Milano esistono virtuosi esempi di associazioni di volontariato, anche perché esistono migliori casi di imprenditoria. Altrove sono assenti in ugual misura probabilmente. Ma la rete familiare sembra più estesa, più larga, quella che nel 2010 fece scrivere ad Alberto Alesina e Andrea Ichino
“L’Italia fatta in casa”, un bel libro nel quale enumeravano anche i danni economici, il lavoro “in nero”, (oltre ai problemi che dovremmo conteggiare in termini psicologici e di frustrazione derivante talora su chi si sacrifica per tutti).

La famiglia-welfare
Secondo i dati più recenti dalle rilevazioni di Coldiretti, si registra la crescente tendenza a stare vicini alla famiglia di origine, perché “L’accorpamento territoriale delle famiglie rappresenta la risposta migliore ai crescenti bisogni di tutela e tenuta sociale dei territori, soprattutto durante questo periodo protratto di crisi”.
Ma qui si crea una fame di welfare e così non è raro che un delegato sindacale dica:
“A me piacerebbe sapere fino a quando la famiglia tradizionale sarà ancora l’ancora di salvezza per ogni suo componente”.

Così la famiglia, “provider di servizi e tutela per i membri che ne hanno bisogno”, potrebbe non esistere più con le nuove generazioni come i nati nel 1980: fragili nuclei, che hanno già attinto dalle riserve e non sono stati messi in condizione di produrre risparmi, devono lavorare fino a 75 anni per andare in pensione.

Vi è poi l’aspetto fotografato nel convegno del 30 maggio u.s. organizzato presso la agenzia del lavoro GiGroup, dal titolo “Salvate il (giovane) soldato Ryan”, sulle divergenze in termini previdenziali, generazionali, tra contributivo e retributivo, all’interno della famiglia, in particolare dopo la riforma Fornero.

Due foto di famiglia a un matrimonio, sono, dall’altra parte, proprio per l’ex ministro, relatrice allo stesso dibattito, l’emblematica rappresentazione di quegli andamenti demografici così diversi tra l’Italia del boom e l’Italia di oggi.

La società moderna, in particolare quella occidentale, ha una media bassina di nuove nascite, persino un Paese come la Finlandia nota per l’educazione e il welfare di Stato. L’Italia del proletariato non esiste più, ne sa qualcosa il suo partito di riferimento che ha cambiato ogni connotato. Anche se il suo segretario attuale, dobbiamo dire, alza la media, con i suoi tre figli. E un uomo portante della sua maggioranza ne ha persino 9 di figli, fanno di cognome Del Rio. Nettamente superiore alla media nazionale anche il leader di opposizione, il presidente Berlusconi.
Perché la politica, in tutto ciò, in effetti, come si posizione sul tema “famiglia”? Siamo reduci da una campagna elettorale, vedremo cosa succederà nelle nuove amministrazioni comunali e nelle principali metropoli.

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