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In Israele la stampa celebra Trump ricordando le sue trumpate

“Donald Trump, l’appariscente uomo d’affari che si è trasformato da magnate del settore immobiliare a politico populista, passando per i reality show, è stato eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti”. Così esordisce il quotidiano israeliano Haaretz, in uno dei tanti pezzi pubblicati stamane dopo che la notizia dell’inaspettata vittoria elettorale di Donald Trump ha fatto il giro del mondo.

Il quotidiano prosegue descrivendo la vittoria del magnate come “l’atto finale di una campagna presidenziale imprevedibile e turbolenta, mai vista prima d’ora negli Stati Uniti”.

TRUMP E IL RITORNO DELL’ANTISEMITISMO (?)

Sebbene sia piuttosto semplice evincere l’opinione che il quotidiano israeliano ha del nuovo presidente degli Stati Uniti, a sciogliere ogni dubbio interviene un altro articolo, dai toni ancora più espliciti, e intitolato “la vittoria di Trump, il più grande successo per l’antisemitismo in America dal 1941”.

“L’elezione di martedì costituisce una grande vittoria per Donald Trump, ma non solo. L’elezione segna la più grande vittoria per l’antisemitismo in America dal 1941”, esordisce l’autore.

Bradley Burston, che ha firmato l’articolo, reputa che “la rinascita dell’odio nutrito in America per gli ebrei abbia diviso in due la comunità ebraica, separando la stragrande maggioranza liberale dalla minoranza pro-Trump”. Secondo Burston uno degli elementi da cui emerge chiaramente la forte componente antisemita insita nella campagna elettorale di Trump, e più genericamente nella sua linea politica, è uno dei motti più utilizzati dal magnate in questi mesi. “Prima che diventasse uno slogan adottato Trump – l’America prima di tutto – era una frase in codice. Si tratta del messaggio cifrato adottato dal filo-nazista Charles Lindebergh per indicare un’America che antepone cittadini americani, cristiani, bianchi e di origine europea prima di chiunque altro e che, al contempo, dipinge gli ebrei come nemici dell’America”, spiega Burston.

GLI ALTI E I BASSI CON ISRAELE

Nonostante sia risaputo il legame tra il partito repubblicano e un’ampia fetta di elettori americani ebrei, durante l’ultima campagna elettorale non è stato così scontato che questi avrebbero votato per Trump, dal momento che il 45esimo presidente degli Stati Uniti è più volte scaduto di recente in affermazioni che poco sono piaciute all’opinione pubblica ebraica.

Lo scorso settembre, in occasione di una conferenza stampa a Chicago, prima di entrare, Trump ha cominciato a chiedere, urlando, chi tra i cronisti presenti fosse ebreo. “Su alzate le mani gente! […] se non risponderete possiamo sempre abbassarvi i pantaloni e scoprirlo”, ha proseguito l’allora candidato repubblicano.
Durante la sua campagna, poi, forse pronunciando la frase che meno è piaciuta agli ebrei, americani e non, il magnate ha affermato di essere neutrale rispetto alla questione israelo-palestinese.
Come dimenticare, poi, l’ultima conferenza organizzata dall’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), in occasione della quale Trump è stato ampiamente contestato dalla maggioranza della comunità rabbinica e dai membri stessi della lobby (qui l’articolo di Formiche.net).
Infine, poco prima che la campagna elettorale si chiudesse, lo staff di Trump ha messo in rete un video, intitolato “Le tesi di Donald Trump per l’America”, in cui la voce narrante del candidato spiegava i legami privilegiati tra l’establishment con sede a Washington e quelle che lui definisce “le persone che non hanno a cuore il bene del popolo americano”. Peccato, fa notare Haaretz, che a fare da sfondo alla narrazione fossero per lo più uomini della finanza, tutti ebrei.

Episodi questi che Haaretz ha scelto di ricordare, forse non a caso, in diversi pezzi pubblicati poco dopo l’annuncio della vittoria elettorale di The Donald.

TRUMP E L’ALIYA

Un altro aspetto che Haaretz ha voluto sottolineare riguarda l’incremento del numero di ebrei americani che hanno deciso di trasferirsi in Israele, secondo una pratica comune nella religione ebraica, l’aliya, dopo l’ufficializzazione della candidatura di Donald Trump. “Sebbene Benjamin Netanyahu si sia trattenuto dall’incitare apertamente gli ebrei americani a emigrare in Israele […] durante i primi mesi di campagna elettorale circa 8000 ebrei sono giunti in Israele, molti dei quali trasferendosi in appartamenti che avevano acquistato a Tel-Aviv anni prima. A gennaio, poi, dopo che Trump ha affermato che l’America sarà libera dalle influenze straniere, interne o esterne al paese che siano, altri 10000 hanno deciso di trasferirsi”, prosegue Haaretz.

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