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Kim Jong-un è solo un folle?

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Il presidente nordcoreano Kim Jong-un sa quali rischi corre con il suo poker missilistico e nucleare? Pensa di poter continuare a barare sfruttando la difficoltà degli USA di ricorrere all’opzione militare e le contraddizioni degli interessi cinesi fra denuclearizzazione e destabilizzazione di Pyongyang? E’ un folle, oppure segue una sua razionalità strategica? Il suo è un case study dell’uso razionale dell’irrazionalità. Ha alternative? Forse non ha alternative.

D’altronde, finora gli è andata bene. E in futuro, dopo che il Segretario di Stato, Rex Tillerson, ha detto a Seul che la “pazienza strategica” statunitense è finita? Di fatto, a Pechino, ha fatto subito “marcia indietro”, auspicando un’intesa fra USA e Cina sulla questione nordcoreana. Chiaramente Washington non vuole rischiare un conflitto con la Cina. La rinuncia all’opzione militare ha un prezzo: la credibilità di Trump.

Kim Jong-un viene spesso descritto come un pazzo sanguinario. Sanguinario lo è di certo. Pazzo, no, almeno dal punto di vista della logica strategica. Deve comportarsi da pazzo per sopravvivere a un attacco esterno e per evitare rivolte, diffondendo terrore nel suo popolo. Non vuole fare la fine di Saddam Hussein o di Gheddafi. E’ persuaso che sarebbero sopravvissuti se avessero avuto la “bomba” e, nel caso del Rais libico anche la capacità di evitare rivolte, reprimendo il dissenso interno. A ben pensarci, la sua logica strategica è simile a quella della Nato durante la guerra fredda. La dissuasione dell’Alleanza si basava sulla razionalità del Cremlino, di non rischiare una guerra distruttiva, e sull’irrazionalità della Nato di fare veramente ricorso alle armi nucleari, con la conseguente distruzione di quanto intendeva difendere. Questo spiega le ripetute provocazioni del giovane dittatore.

Inoltre, esperimenti nucleari e lancio di missili nordcoreani avvengono secondo una tempistica modulata su obiettivi politici ben presisi. Ad esempio, il lancio del 6 marzo di quattro missili che, dopo una traiettoria di 620 miglia, si sono inabissati nel Mar del Giappone, è avvenuto in contemporaneità alle grandi esercitazioni fra gli USA e la Corea del Sud, che simulavano un conflitto con la Corea del Nord e la sua distruzione. Anche le 620 miglia avevano un significato. La principale base USA in Corea del Sud è situata proprio a tale distanza dal poligono di lancio dei missili di Pyongyang. Kim Jong-un sa che certamente che le sue provocazioni nucleari e missilistiche possono attirare un attacco, ma che il “gioco vale la candela”. E’ però persuaso di poter continuare a bluffare.

Una conferma gli è venuta dallo stesso Rex Tillerson che, a Pechino, ha dichiarato di voler collaborare con la Cina, per trovare una soluzione concordata. E’ impossibile oggi come lo è stata in passato. In sostanza, il giovane dittatore nordcoreano può continuare a “bluffare”, scommettendo che gli altri giocatori non “vedranno” il suo gioco. Finora ha avuto ragione. E’ sopravvissuto. Gli è andata bene.

Una logica altrettanto disinvolta è seguita da Kim Jong-un in politica interna. Non si accontenta di eliminare i potenziali oppositori, in genere filo-cinesi. Lo fa in modo da sembrare imprevedibile e disposto a ricorrere a ohni mezzo. Di certo, vuole colpire la curiosità dei media internazionali e terrorizzare il suo popolo. Ha dato uno zio in pasto ai cani, ed eliminato un fratellastro, ucciso in Malesia con il gas nervino. Sono “mattane”, ma hanno finalità ben precise.

Veniamo agli altri attori. Sia Washington che Pechino ritengono che la stabilità del sistema Asia-Pacifico sia di loro cruciale interesse. Vogliono evitare un conflitto fra loro. Gli USA ricordano l’intervento cinese del dicembre 1950. E’ improbabile che prendano iniziative contro Pyongyang. Inoltre, Le intemperanze della Corea del Nord presentano per gli Usa molti vantaggi: legittimano la presenza USA, frenando l’anti-americanismo in Corea del Sud e in Giappone; rendono più solide le loro alleanze con entrambi i paesi; contengono i contrasti fra essi per l’irrisolto problema delle “schiave sessuali” della seconda guerra mondiale e per qualche isolotto giapponese rivendicato da Seul; evitano “giri di valzer” di Seul con Pechino e di Tokyo con Mosca.

Gli Usa sono poi consapevoli che un conflitto nella penisola coreana avrebbe una rapida e incontrollabile escalation nucleare e provocherebbe forse una guerra con la Cina. Malgrado tutta la sua retorica, è improbabile che Trump prenda un’iniziativa militare. Certamente reagirebbe con tutta la potenza statunitense in caso d’attacco nord-coreano al Sud. Ma, anche in questo caso, senza l’immediato ricorso alle armi nucleari, non potrebbe salvare Seul dai circa 15.000 pezzi d’artiglieria che possono colpirla né i 28.500 soldati USA schierati in Corea del Sud.

Anche la Cina è confrontata a un dilemma che ne blocca la possibilità d’intervenire efficacemente sulla Corea del Nord. Ha due interessi opposti: la stabilità del regime nord-coreano e il suo disarmo nucleare e missilistico. Può barcamenarsi fra le due finché non è messa con le spalle al muro. Pechino è stata danneggiata dall’avventurismo e dalle provocazioni della Corea del Nord. Esso ha consolidato il sistema delle alleanze USA, indotto allo schieramento in Corea del Sud del sistema anti-missilistico THAAD e all’invio di una seconda portaerei “in visita al porto di Fusan” e dimostrato l’impotenza di Pechino mei riguardi di Pyongyang. Pechino deve essere furiosa. Non potendo prendersela più di quel tanto con la Corea del Nord, condanna le reazioni americane e sud-coreane. Invoca, come è di rito in casi simili, calma e negoziato, ma non può fare nulla di concreto.

La situazione resta comunque pericolosa. Tutti si preparano al peggio e hanno il dito sul grilletto. L’unica strategia efficace per tutti sarebbe una preventiva. Parte USA, non solo per distruggere l’arsenale missilistico e nucleare nordcoreano prima che acquisti la capacità di sopravvivere a un attacco di sorpresa, ma anche per evitare che Seul venga distrutta dall’artiglieria nordcoreana. Da parte sua, la Corea del Nord vuole solo sopravvivere. Non può resistere a un attacco. Scommette sulla possibilità di un coinvolgimento della Cina. Il regime sa anche che i nordcoreani potranno ancora “tirare la cinghia”. Quindi, a parte le usuali invocazioni di rito al disarmo e alla pace da parte di Washington e di Pechino, le provocazioni nordcoreane continueranno senza reazioni efficaci. Kim Yong-un può continuare a dormire sonni tranquilli.

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