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Trump colpisce l’Egitto chiedendo fedeltà agli alleati?

Mercoledì, giorno della decisione con cui la Casa Bianca ha bloccato gli aiuti all’Egitto, al Cairo c’era il potentissimo genero e consigliere di Trump Jared Kushner. Guidava una delegazione di tutto rispetto, che arrivava da un viaggio regionale che aveva come compito esplorare i margini per nuovi colloqui di pace tra israeliani e palestinesi (è questo uno degli incarichi che lo Studio Ovale gli ha affidato), ma anche cercare una via di mediazione sulla crisi col Qatar, di cui l’Egitto è parte attiva, essendo stato tra i primi paesi che ha avallato la posizione isolante decisa da sauditi ed emiratini. Con Kushner c’era Dina Powell, che ha ottime entrature in zona MENA, parla arabo, è la vice consigliere per la Sicurezza Nazionale, è una donna vicina agli Ivankner e rappresenta una colonna del gruppo dei normalizzatori interni che fa gioco di sponda con i militari e l’establishment del partito. Con loro pure Jason Greenblatt, inviato speciale per le negoziazioni internazionali. Dovevano incontrare Sisi e la diplomazia egiziana, ma stante l’annuncio uscito da Washington il meeting con il ministro degli Esteri è saltato e sostituito con una più fredda accoglienza di rito da parte del presidente. “L’Egitto considera questo passo come un errore di valutazione della natura delle relazioni strategiche che lega i due paesi a decenni” ha detto il ministro, e questa è la linea del Cairo.

DIRITTI E INTERESSI

La mossa americana è allo stesso tempo una decisione per preservare la sicurezza nazionale, sia un’azione per così dire globalista. Da qualsiasi lato la si guardi, racconta di un’America che centra il doppio obiettivo, ottenere un placet generalizzato per la linea formale sui diritti, mentre preserva uno dei suoi principali interessi internazionali: ostacolare la Corea del Nord. L’Egitto è un alleato forte per gli Stati Uniti, ma al Cairo devono recepire il messaggio che per restare nell’orbita dell’amministrazione Trump bisogna fare quello che la Casa Bianca chiede. Alleggerire la presa sui diritti civili può essere uno di questi to-do, un altro, e forse più sentito dal presidente, è tagliare i collegamenti che dal Cairo portano a Pyongyang.

EGITTO E CINA

Ciò per cui è famoso Donald Trump è il chiedere fedeltà ai suoi, che siano dipendenti, collaboratori o alleati, e quando il governo egiziano tesse rapporti sotto traccia con il regime nemico numero uno di Washington, il Prez non può essere contento. Non bastasse, il 16 agosto il primo ministro egiziano ha presenziato la cerimonia di firma su un contratto da 1,24 miliardi di dollari tra l’autorità dei trasporti del Cairo e un consorzio formato dalle cinesi Avic International e China Railway Group: costruiranno 66 chilometri di linea ferroviaria leggera interurbana nella parte orientale della capitale. Lo scorso anno il volume di scambi sino-egiziano ha toccato gli 11,3 miliardi di dollari. A queste relazioni vià ottime si sta abbinando la narrativa, per esempio quella relativa all’antica Via della Seta e al commercio di ceramiche egiziane verso l’Oriente, eco alla Nuova Via della Seta, il grande progetto geostrategico di Pechino. L’Egitto sarà l’ospite d’onore del China-Arab States Expo 2017 che si terrà a Ningxia dal 6 al 9 settembre – il ruolo di ospite d’onore è un mezzo di soft power cinese per incoraggiare maggiore cooperazione, alla quale il Cairo ha ragione nel non tirarsi indietro. Dall’Egitto chiedono alla Cina di investire sul canale di Suez, apertura al Mediterraneo su cui tutti, Stati Uniti compresi, hanno forti interessi strategici e militari, che da quando Pechino ha aperto la sua prima base fuori casa a Gibuti, sono diventati anche cinesi.

LA FEDELTÀ

Trump sta pensando a un contrasto economico-commerciale contro la Cina, sia per riequilibrare la bilancia import/export interna, sia per competizione con la seconda più grossa economia dopo l’America. Per questo scontro titanico chiede la fedeltà degli alleati?

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