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A Brunetta dico: il ‘94 non può tornare

Renato Brunetta

Appassionato come sempre, Renato Brunetta fa oggi una interessante intervista con Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, confermando la sua vivace avversità allo schema Di Maio, che vorrebbe un accordo con Salvini senza il Cavaliere.

Il professore con astuzia provoca il leader della Lega, ma al tempo stesso lo blandisce, riconoscendone il ruolo ed incalzandolo sul tema che più gli sta a cuore, cioè il ruolo di Forza Italia.

Quando infatti Cazzullo gli chiede se si adeguerebbe ad un accordo tra i due “vincitori” del 4 marzo alle spalle di Berlusconi (accordo che, per onore di verità, non sembra piacere innanzitutto a Salvini), Brunetta risponde testualmente così: “No, al contrario: comincerei a girare il Paese, comune per comune, provincia per provincia. Al Nord, al Centro, al Sud. A ritrovare lo spirito del ‘94. A ritrovare i nostri elettori che ci sono ancora tutti. Nel nome di Berlusconi e della nostra storia. Storia di un partito liberale di massa, appartenente alla famiglia dei popolari europei. Ma sia chiaro: orgogliosamente di Forza Italia, voterei no, e non mi accontenterei di uscire dall’Aula. Direi di no. Obiezione di coscienza”.

Ebbene qui c’è un tema di enorme rilevanza (che Brunetta sottovaluta), vale a dire il cambiamento radicale che è intervenuto nelle ansie e nelle speranze degli italiani dal ‘94 a oggi, talmente forte e dirompente da rendere del tutto inadeguata l’analisi proposta oggi a Cazzullo.

Per capire il presente occorre cioè partire da un dato di fatto, perfettamente riferibile proprio al 1994: quell’italia “politica” non c’è più, è morta e sepolta e non può tornare.

Allora eravamo subito dopo lo tsunami della Prima Repubblica, con l’intera piccola borghesia italiana schierata da nord a sud e orfana del pentapartito (che, tanto per ricordarlo a smemorati e ignari, prese agevolmente la maggioranza alle elezioni del 1992).
Oggi quell’immenso segmento sociale è stato spazzato via, massacrato dalla globalizzazione, dall’Europa del rigore a senso unico, dalla concorrenza del muratore romeno o del commerciante cinese, dall’impossibilità dello Stato di continuare ad assumere a ritmi precedenti.

Insomma quell’Italia è morta, sostituita da un immenso “precariato” di ogni genere e grado che fornisce il perfetto bacino di consensi per Di Maio e Salvini, che non a caso trionfano al Sud, dove la situazione è più disperata che mai.
Forza Italia è a tutti gli effetti un movimento politico di fine ‘900, con un leader che ha capito tutto molto prima di altri (prima di Putin, di Trump, di Erdogan, di Macron), cogliendo il moto profondo della modernità nella sua ricerca di leadership senza troppi condizionamenti, ma è anche un partito che cerca una via moderata che mal si presta ad apparire vincente e che risulta frustrata da troppe promesse fatte e non mantenute (tasse in primo luogo).

Qui c’è tutta la fatica attuale di Forza Italia, un movimento politico che così com’è non ha alcun senso (lo stesso vale per il Pd). Ma sopratutto c’è un’Italia diversa con cui fare i conti, che richiede ben altri strumenti che quelli di un partito liberale di massa. Oggi quell’Italia vota Salvini e Di Maio, ma è pronta a massacrarli se non fanno (e pure in fretta) quello che hanno promesso. Chi ha dei dubbi guardi il terzo successo consecutivo di ieri in Ungheria del primo ministro Orbán, tanto criticato dalla sinistra salottiera di mezza Europa.

Il suo più feroce avversario politico in questa campagna elettorale è stato alla sua destra, non so se mi spiego.

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