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La sentenza di Palermo: uno tsunami sul Palazzo

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C’è poco da girarci intorno: la sentenza di primo grado del Tribunale di Palermo sulla presunta trattativa Stato-Mafia piomba sulla fragilissima situazione politica come un uragano, di cui vediamo soltanto i primi effetti in queste ore.

Ciò è vero essenzialmente per due motivi, peraltro facilmente riscontrabili. Il primo è tutto interno al M5S, che infatti sta usando parole durissime per bocca del suo leader Luigi Di Maio, poiché essa diventa lo spartiacque tra la vecchia politica (addirittura scesa a patti con la mafia) e quella nuova, con Berlusconi ad incarnare l’ancien regime, non a caso sanzionato con dodici anni di condanna per Marcello Dell’Utri.

Già, perché proprio nel giorno in cui un Cavaliere baldanzoso dice che nelle sue aziende i grillini andrebbero messi “a pulire i cessi”, il Tribunale di Palermo offre a Di Maio un micidiale assist politico, consentendogli di porsi in perfetta linea con la pubblica accusa al processo impersonata dal pm Di Matteo, che non a caso così commenta: “Prima si era messa in correlazione Cosa Nostra con il Silvio Berlusconi imprenditore, adesso questa sentenza per la prima volta la mette in correlazione col Berlusconi politico”.

Insomma uno tsunami vero e proprio, tale da portare proprio Di Maio a dire “con le condanne di oggi muore definitivamente la Seconda Repubblica”.

Dunque cala il sipario non solo tra M5S e Forza Italia (già tutto chiaro da ieri) ma tra il movimento e l’intero sistema politico precedente, con effetti ancora tutti da osservare. Poi c’è da vedere (secondo effetto della sentenza) cosa succede nel centrodestra e cosa invece nel Pd.

Sarà la sentenza motivo di ulteriore frizione tra Salvini e Berlusconi, che in fondo appartengono a generazioni assai diverse?

Non si può escludere, perché anche il leader della Lega ha molti motivi per tenersi alla larga da fatti e protagonisti di quella stagione. Infine c’è il Pd. L’assoluzione di Nicola Mancino non può che fare piacere, ma rimangono ferite tutt’altro che rimarginate, come ben sa il Presidente Napolitano.

E comunque la sentenza colpisce al cuore il sistema di potere dei primi anni ‘90, dove l’intero establishment prima Ds e poi Pd ha giocato un ruolo determinante. Diciamo che sull’esile corpicino della legislatura appena partita si è abbattuto un pugno degno del miglior Tyson. Al Quirinale si lavora alacremente, con il Presidente sul pezzo senza indugio da mattina a sera. Ma la matassa si va complicando, nel più classico degli intrecci di casa nostra: quello tra politica e giustizia.

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