Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

SoftBank inietta soldi nella più grande start-up di intelligenza artificiale al mondo, la cinese Sense Time

Il fondo creato dalla giapponese SoftBank, Vision Fund, sta per chiudere un investimento miliardario con la cinese Sense Time Group, la più importante start up di intelligenza artificiale al mondo. La questione è piuttosto interessante perché il coinvolgimento di Vision Fund, il più grande fondo di investimenti del mondo concentrato sulle nuove tecnologie e destinato a guidare la sorte dei consumatori del futuro (come spiegava l’Economist in un articolo di maggio), si porta dietro linee strategiche eccellenti.

Il capo di Vision Fund, e fondatore di SoftBank, Masayoshi Son, nel 2016 – anno in cui fu tra i primi a vedersi con il neoeletto Donald Trump – ha ottenuto un’iniezione di fiducia da 45 miliardi di dollari da parte di Mohammed bin Salman (anche MbS), erede al trono saudita e motore del Regno con la sua Vision 2030, il piano con cui Riad intende diversificare la propria economia svincolandola dalla completa dipendenza petrolifera. Per capire quanto questo finanziamento è stato sostanzioso basta dare un numero: nell’anno in cui MbS ha immesso quei soldi in Vision Fund potenziando il totale degli investimenti a 100 miliardi, gli altri fondi di venture capital nel mondo (tutti gli altri) cumulavano insieme 64 miliardi.

La fortuna di SoftBank è piuttosto legata a una quota di partecipazione in Alibaba, il gigante dell’e-commerce cinese di proprietà di Jack Ma, in cui Son investì nel 1999 venti milioni di dollari ritrovandosi in mano il 20 per cento della società, una quota che adesso vale 140 miliardi. E qui i contatti con la Cina tornano evidenti.

Un altro aspetto interessante in termini strategici è che l’investimento di Vision Fund andrà ad aiutare un’azienda di Pechino in un settore molto delicato, quello dell’artificial intelligence, su cui la Cina è in piena concorrenza con gli Stati Uniti. Anzi, si potrebbe dire che tra i principali motivi dello scontro commerciale e del confronto globale ingaggiato da Washington contro i cinesi c’è soprattutto questa rincorsa per vincere la gara sul settore dell’alta tecnologia (l’AI e il 5G per le comunicazioni, sono per esempio due campi di competizione agguerrita).

Pechino sta spingendo in questo senso il piano “Made in China 2025” con cui creare un sistema industriale indipendente nell’ambito tecnologico: un piano considerato di interesse strategico per Washington, e dunque una questione di interesse nazionale. L’investimento di Vision Fund diventa ancora più interessante se letto in quest’ottica, perché coinvolge, al fianco di uno dei fiori all’occhiello cinesi di quel Made in China 2025 due alleati statunitensi come i giapponesi e i sauditi. Ma in certi casi sono i capitali a guidare la politica; per questo “follow the money” diventa fondamentale.

SenseTime è una start-up che crea sistemi in grado di analizzare volti e immagini su vasta scala (anche in machine learning, in apprendimento automatico del computer) e contribuisce al vasto programma di sorveglianza statale in Cina; sta lavorando con l’altra cinese Megvii su un sistema che si chiama “Viper” per analizzare i dati da migliaia di feed di telecamere live, una piattaforma che si rivelerà preziosa in vari ambiti, per esempio nella validazione dei pagamenti digitali o negli accessi ad ambienti riservati, ma anche nella sorveglianza di massa. Settore delicato, dove le linee strategiche e gli interessi commerciali si intrecciano col tema dei diritti, come nella trattazione classica del dossier cinese secondo una dottrina americana che però in questo momento sta via via perdendo consistenza, sostituita dal confronto.

La compagnia è dunque una delle varie startup in prima linea nell’obiettivo di Pechino di rendere il Paese quel leader mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale entro il 2030, ambito di proiezione di un obiettivo ancora più largo, che con i progressi tecnologici però si abbina completamente: diventare la potenza globale di riferimento sostituendo gli Stati Uniti, dicono le analisi delle agenzie americane. In Cina, società di questo genere (come quelle del riconoscimento facciale) trovano uno spazio più lasco nel rispetto dei diritti, e per questo possono operare maggiore sperimentazione e affinare gli sviluppi; anche su questo si basa il confronto, l’assenza di un terreno condiviso in termini di leggi – per esempio quelle sulla privacy – vale quanto i sussidi statali e per gli americani altera il mercato, facilitando le società cinesi.

L’amministratore delegato di SenseTime, che ha contratti con il dipartimento di polizia di Chongqing e China Mobile, a gennaio ha spiegato al Financial Times che la società ha “elaborato 500 milioni di identità per il riconoscimento facciale: le aziende statunitensi non possono fare test su così tante persone”.

Quello in Sense Time non è il primo investimento cinese per SoftBank, e si inquadra perfettamente nella teoria della singolarità tecnologica sposata dal suo fondatore Son, secondo cui il futuro sarà dominato dalle macchine (Son ha investito 32 miliardi di dollari per acquisire ARM Holdings Plc, il chip designer di Cambridge che lui ritiene sia un punto chiave nello sviluppo dell’intelligenza artificiale).

La società cinese, fondata nel 2014, come detto è attualmente considerata la più potente start-up del settore AI, e su questo ha tirato dentro capitali da vari investitori che gli hanno permesso di diventare rapidamente un unicorno, ossia raggiungere il miliardo di dollari di investimenti.

Tra gli investitori ci sono il fondo sovrano di Singapore, Alibaba, Boyu Capital di Hong Kong, Qualcomm (società americana a cui l’amministrazione ha proibito di passare in mano a Broadcom, ora californiana ma fino a poco fa basata a Singapore, perché poteva essere una questione di interesse nazionale con i cinesi che avrebbero potuto sfruttare lo spionaggio spinto nell’isola asiatica per rubare informazioni sul 5G); e poi Fidelity Investment (guidata da Aibgail Johnson, la quale l’anno scorso in una rara apparizione pubblica a fianco di un Michael Bloomberg piuttosto critico con Donald Trump chiese al super-magnate newyorkese di candidarsi nel 2020) e Silver Lake (private equity californiana con interessi piazzatissimi, che teoricamente segue una strategia di azione verso le mature technologies, ossia le società di tecnologie consolidate, ma con Sense Time ha fatto una specie di eccezione).

 

×

Iscriviti alla newsletter