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Il Def, lo spread e le banche. Primo atto di una possibile tragedia

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L’ipotesi di partenza è quella di un deficit di bilancio pari al 2,4 per cento, che rappresenterà l’elemento di copertura della prossima legge di bilancio. Traccerà, in altre parole, il perimetro all’interno del quale dovranno essere collocate le norme che caratterizzeranno il successivo provvedimento. Ed è facile prevedere che quel margine sarà del tutto utilizzato per rispettare il contratto del governo per il cambiamento. In un clima sempre più arroventato dall’imminenza delle elezioni europee, dove si giocherà una doppia partita. Sovranisti e populisti, contro il resto dei partiti più filoeuropei. Lega e 5 stelle alla ricerca di una verifica dei rispettivi rapporti di forza per l’effettivo governo del Paese. Ma non è detto che, a fine anno, sarà quello il tetto effettivo del deficit. Molto dipenderà da quello che succederà nei prossimi mesi. Un futuro che non si presta a facili previsioni.

Inquieta, innanzitutto, il fatto che l’indicazione di un deficit pari al 2,4 per cento sia stato il frutto prevalente di una decisione politica, che ha impattato duramente sull’ordinario svolgimento di una procedura da tempo collaudata. Negli anni passati le previsioni programmatiche erano accompagnate da una analisi, più o meno accurata, delle tendenze effettive dell’economia. Su questa base di relativa certezza si individuavano, con realismo, le possibili azioni programmatiche e quindi i possibili riflessi sugli andamenti di tutte le altre variabili del quadro macroeconomico e finanziario. Questo schema oggi è completamente saltato. L’analisi tecnica originaria faceva intravedere valori molti più contenuti, pur nello sforzo di combattere le tendenze deflazionistiche in atto. Con un colpo di penna questa complessa costruzione è stata cancellata, per debordare nel campo di un decisionismo sprovvisto di qualsiasi paracadute.

L’impressione prevalente è che si siano fatti i conti senza l’oste e, di conseguenza, quel tetto difficilmente potrà reggere alla verifica dei fatti. Sarà infatti difficile, se non impossibile, dimostrare che il debito, in rapporto al Pil possa diminuire. Affinché questo avvenga il Pil nominale dovrebbe crescere di qualche decimale in più, rispetto al 2,4 per cento. Partendo da una base di partenza che è stimata nell’1,1 per cento, in termini reali. La differenza dovrebbe essere colmata da una maggiore crescita dell’inflazione. Che tuttavia reca in sé evidenti contro indicazioni. Ad un’inflazione più alta non potranno non corrispondere tassi di interesse maggiori. Che, a loro volta, comporteranno un duplice effetto. Faranno aumentare la spesa che grava sul bilancio, contribuendo per questa via a far lievitare il deficit. Avranno un effetto depressivo sull’economia, in termini di consumo e di investimento, rendendo ancora più incerto il target di sviluppo (1,1 per cento) che è nelle previsioni.

Valutazioni, quelle appena enunciate, che si muovono all’interno di un’ipotesi di fondo che resta ottimistica. Non tengono cioè conto delle possibili reazioni: mercati, Commissione europea, Agenzie di rating. Se gli spread dovessero aumentare, l’effetto leva sarebbe immediato. Per ogni 100 punti di aumento si può calcolare una crescita della spesa d’interessi pari, come minimo, a 2 miliardi di euro. Considerato l’ammontare dei titoli di stato da rinnovare, che sono pari a circa 400 miliardi l’anno. Ma che, per fortuna, non si rinnovano tutti nello stesso momento. Quindi la previsione di 2 miliardi è solo un’indicazione di massima, coerente con la tempistica del probabile rinnovo. Nello stesso tempo aumenterà il costo del finanziamento per le imprese. Al momento il differenziale corrisponde a circa lo 0,20 per cento in più per i primi 100 punti di spread. Ma se vi fosse una volata, il rialzo sarebbe più che proporzionale. E con esso una crisi ben più virulenta sul fronte dell’economia reale.

La manovra dovrà essere vagliata dalla Commissione europea, che valuterà i documenti programmatici di bilancio di tutti i Paesi, che fanno parte dell’Eurozona, tra il 15 ottobre ed il 1 novembre. Al momento bocche cucite, salvo il solito Pierre Moscovici: “Non c’è interesse in una crisi tra la Commissione e l’Italia. Nessuno ha interesse in questo perché l’Italia è un paese importante dell’Eurozona”. Fin qui la carota. “Non abbiamo neppure interesse – ha subito aggiunto – nel fatto che l’Italia non rispetti le regole e non riduca il debito, che rimane esplosivo”. Il bastone, che preannuncia se non tempesta, almeno una perturbazione. Considerato tra l’altro quella sorta di sceneggiata napoletana che ha accompagnato il varo della manovra. Un conto sarebbe stato presentarsi con una decisione secca, come quella di Emmanuel Macron: il deficit francese che passa dal 2,6 al 2,8 per cento. Punto. Un altro è saltare da un 1,6 per cento ad un 2,4 nell’intero triennio successivo. Quando il tendenziale, elaborato dal governo Gentiloni, prevedeva lo 0,8 nel 2019 ed il pareggio di bilancio nei due anni successivi. Il tutto accompagnato dalle grida di giubilo di parlamentari e militanti, nemmeno si fosse trattato della vittoria della squadra del cuore.

Resta infine l’incognita maggiore: il responso delle Agenzie di rating che dovranno esprimere le loro valutazioni sulla solvibilità del debito italiano, entro la fine di ottobre. Standard & Poor’s e Moody’s dovranno decidere se declassarne ulteriormente i relativi titoli, che già viaggiano un solo gradino oltre la qualifica di junk bond. Scendere ancora comporterebbe la loro definitiva esclusione dai grandi canali di finanziamento. La Bce non potrebbe più comprarli ed il loro stesso uso, come collaterale delle banche per rifinanziarsi presso le Istituzioni finanziarie, sarebbe interdetto. Si profila così l’ipotesi di una perversa spirale. Dalla caduta di borsa e dall’aumento degli spread deriverebbe il responso severo della Commissione europea. E da quest’ultima il quasi obbligo di un pollice verso da parte delle Agenzie.

Nel corso della giornata, in borsa, la caduta dell’indice generale ha sfiorato il 5 per cento. Le banche hanno subito un vero e proprio tracollo (circa il 10 per cento), mentre lo spread saliva verso i 280 punti base. Difficile non vedere come sia andato in scena il primo atto di questa possibile tragedia. Speriamo sia stato solo un caso di ordinaria follia. Una semplice crisi di nervi. Speriamolo, incrociando le dita.

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