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A Idlib l’annuncio di un disastro umanitario. L’analisi di Trombetta (Limes)

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Mentre la situazione in Siria si complica di ora in ora, e un’altra strage di civili fa suonare il campanello d’allarme della comunità internazionale, allo stesso tempo arriva la notizia secondo cui il portavoce dei ribelli della regione ha respinto la possibilità di creare corridoi umanitari nel Paese per portare in salvo la popolazione prima dell’offensiva. Dalla Turchia, poi, arrivano le parole del presidente Recep Tayyip Erdogan, che dichiara come Ankara, insieme a Mosca e Teheran sta portando avanti “un lavoro congiunto per evitare a Idlib un altro disastro umanitario come quello di Aleppo”. Ma i dubbi e le preoccupazioni statunitensi restano molti. Il segretario di Stato Mike Pompeo rompe gli indugi e twitta, non lasciando adito alle incomprensioni. “Sergei Lavrov difende l’assalto siriano e russo a Idlib. Gli Stati Uniti vedono questo come un’escalation di un conflitto già pericoloso”. E poi da una cifra di quelli che potrebbero essere i numeri di una nuova carneficina: “Tre milioni di siriani, che sono già stati costretti a lasciare le loro case e sono ora a Idlib, soffriranno di questa aggressione. Non va bene. Il mondo sta guardando”. Una dichiarazione seguita dalla notizia che il rappresentante speciale degli Stati Uniti per la Siria, James Jeffrey, si recherà in Medio Oriente per constatare la situazione di persona e approfondire la denuncia di Mosca sui presunti attacchi chimici.

In un momento, dunque, che nella regione resta di confusione e tensione latente, Formiche.net ha raggiunto al telefono Lorenzo Trombetta, esperto di Siria e corrispondente da Beirut di Limes, che, analizzando l’evoluzione dei rapporti geopolitici degli attori che ruotano intorno alla regione siriana, ci fornisce una prospettiva ravvicinata del delicato momento a cui stiamo assistendo, inermi. “Ormai la questione siriana, e quindi anche la questione di Idlib, ha creato l’assuefazione dell’opinione pubblica, almeno di quella che non sia direttamente coinvolta. In Libano, ma che in altre regioni della Siria stessa, non se ne parla come di un tema di estrema attualità, come di un tema scottante. Vi è ormai una sorta di rassegnazione al fatto che le dinamiche nel Paese siano quelle che sono”, ha affermato l’esperto. Ma la situazione, d’altra parte, resta tesa.

Ritorna lo spettro di un presunto attacco chimico, si preannuncia il disastro umanitario e intanto nelle ultime ore nel Mediterraneo orientale la flotta russa si prepara all’esercitazione. Come potrebbe evolversi lo scenario?

Lo scenario non cambia. Si sta, d’altra parte, stabilizzando sempre di più la forza egemonica russa nel Mediterraneo orientale. Con una ricaduta anche sull’Iran che è alleato della Russia e che può ottenere una maggiore influenza nella regione, o quantomeno non la vedrà limitata. Anche la Turchia, d’altronde, beneficia dell’alleanza con la Russia. Dunque quello che avverrà a Idlib è solo una traduzione di quella che è la sua decennale presenza nell’area. Non c’è però un cambio di situazione. Il cambio potrebbe avvenire solamente se gli Stati Uniti o l’Arabia Saudita cambiassero gli equilibri, ma questo non avviene in questo momento. Siamo dunque in una situazione conferma degli equilibri pre-esistenti.

Tornando all’Iran. Teheran si conferma parte fondamentale in questo scacchiere?

L’Iran sappiamo che è in grandissime difficoltà interne. Vive una grave crisi economica che non è ascrivibile esclusivamente alle sanzioni statunitensi. Bisogna fare un distinguo. Le sanzioni economiche hanno causato e continuano a causare diversi problemi, ma la crisi economica iraniana non può essere imputata solo agli effetti di queste ultime. Inoltre il Paese, attraverso le proteste popolari, in regioni in qualche modo insospettabili, è attraversato da un crescente dissenso interno. E questo dissenso ha chiesto più volte, in maniera esplicita, il ritiro delle truppe iraniane anche dalla Siria che ad oggi ha un costo non più sostenibile. Una cosa che sarebbe avvenuta in qualsiasi altra situazione in cui le spese militari, specie se all’estero, non sono giustificabili da chi non ha il pane per arrivare a fine mese. Di questo in qualche modo i leader iraniani ne devono tener conto.

Resta però un attore egemone nella regione…

È vero che si sta espandendo rispetto ad anni fa è presente in qualche modo in Yemen, a una maggiore presenza nel Golfo con la crisi da Arabia Saudita e Qatar, in Iraq sta cercando di formare un governo con i colori iraniani, in Libano è presente l’Hezbollah. Se lo guardiamo da questo punto di vista è chiaro che rimane estremamente forte. In Siria mantiene la sua forza militare, ora è molto forte anche ad Aleppo e le sue milizie sono vicine al fronte dove si scatenerà l’offensiva contro Idlib. Mentre prima era più limitato alla zona vicina al confine libanese.

L’Unione europea invece come si sta comportando?

L’Unione europea non esiste da questo punto di vista. Non può essere in alcun modo misurata la sua azione. Ci sono dei Paesi come la Francia e la Germania che hanno degli interessi nazionali evidenti in ambito di immigrazione, sicurezza dal punto di vista del terrorismo, affari economici e commerciali. Sono due Paesi che quindi agiscono un po’ per conto proprio.

L’Italia come si sta muovendo?

Con la Siria abbiamo degli interessi commerciali consolidati, per anni l’Italia è stato il primo partner commerciale del Paese. Il mercato siriano per noi è storicamente un mercato importante. D’altronde in questi ultimi anni l’Italia non poteva non seguire le scelte politiche degli Usa. Siamo stati inclusi, in questo modo nei cosiddetti “undici Paesi amici della Siria” che sostenevano le opposizioni in esilio. Ma in qualche modo, comunque, l’Italia ha sempre fatto capire ai siriani governativi che anche se la necessità era quella di stare a fianco agli Stati Uniti, sarebbe comunque rimasta “amica di tutti”. E in qualche modo questo è confermato anche dalla visita di uno dei più importanti uomini dei servizi di intelligence siriani a Roma ultimamente. Per non parlare dalle aperture che ci sono sottobanco tra Italia e Siria da un punto di vista di sicurezza si capisce che la Penisola per la sua cosiddetta “vocazione mediterranea” non può far altro che guardare con interesse a vari canali.

Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni?

Per ora c’è solo una dimostrazione di forza. Mosca mostra i muscoli. Il sette settembre ci sarà la riunione tra Iran, Turchia e Russia e si deciderà il risiko della regione e l’otto la Russia terminerò la sua esercitazione. Dal nove in poi ci si potrebbe aspettare qualche novità o mossa decisiva. Naturalmente potrebbe anche non accadere nulla, e sarebbe una notizia anche questa.

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