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Anche la democrazia diretta ha bisogno di garanzie. Vincenzo Lippolis spiega perché

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Innestare istituti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa che ora vige in Italia, come proposto dal Movimento 5 Stelle, può essere un modo per avvicinare i cittadini alle istituzioni, ma bisogna stare attenti a muoversi all’interno delle garanzie e delle tutele previste dalla Costituzione per non creare effetti opposti a quelli desiderati.

In una conversazione con Formiche.net il docente di Diritto costituzionale italiano e comparato all’Università degli Studi internazionali di Roma, già vice segretario generale della Camera, Vincenzo Lippolis, passa in rassegna le misure presentate ieri dal ministro per i Rapporti con il parlamento e la democrazia diretta Riccardo Fraccaro. Tra le proposte, il taglio del numero dei parlamentari e la previsione dell’istituto del referendum propositivo, per il quale si vorrebbe eliminare il quorum. Secondo il professore, però, la previsione del quorum è una garanzia affinché le élite che necessariamente si formano nel tessuto politico di un Paese, non usino la loro influenza per imporre misure contrarie a volere generale dei cittadini.

Professore, tra le proposte del ministro Fraccaro è presente la riduzione del numero dei parlamentari. Ci sono precedenti in Italia?

Non si tratta di una proposta nuova, già la commissione Bozzi nell”85 prevedeva che il numero dei parlamentari fosse ridotto, anche se non stabiliva esattamente di quanto. I numeri presenti nella proposta del ministro Fraccaro, 400 deputati e 200 senatori, si ritrovano nel testo della commissione D’Alema del 1997, quindi in sé per sé è una proposta che da tanti anni è nel dibattito sulle riforme costituzionali. Ci sono alcuni punti, però, che vorrei sottolineare.

Prego.

Primo, che non si può guardare a questa proposta solo sotto l’ottica di un risparmio delle spese della politica. Un atteggiamento di questo genere è demagogico. Le riforme costituzionali si fanno perché migliorano il nostro sistema, non solo perché fanno risparmiare dei quattrini. Non è l’aspetto economico che ci deve indurre a dire sì o no. Ritengo comunque che la funzionalità delle Camere, soprattutto tenendo conto che abbiamo un bicameralismo paritario con uguali funzioni di Camera e Senato, non sarebbe intaccato da questa riduzione del numero, e quindi sono favorevole. Quello che trovo singolare è che non si colga l’occasione per eliminare definitivamente i parlamentari eletti nelle circoscrizioni estere, introdotti con una riforma che ha innovato rispetto al testo originario della Costituzione ma che ha dato pessimi risultati. Avrei colto l’occasione anche per eliminare del tutto i parlamentari eletti nella circoscrizione estero di cui si prevede, invece, solo una riduzione.

Alla riduzione del numero dei parlamentari dovrà coincidere anche una modifica della legge elettorale attualmente in vigore?

Sì, secondo me sarebbe necessaria una modifica della legge elettorale. Per evitare problemi – cioè che si approvi prima la riforma costituzionale e poi magari il Parlamento non approva la necessaria modifica della riforma elettorale – per prudenza io seguirei questo percorso: poiché le leggi costituzionali richiedono due approvazioni successive dei due rami del Parlamento, dopo la prima approvazione di Camera e Senato approverei la modifica della legge elettorale condizionandone l’entrata in vigore alla definitiva approvazione della legge costituzionale. In tal modo entrerebbero in vigore nello stesso momento sia la legge costituzionale che la necessaria modifica della legge elettorale.

Tra le proposte di Fraccaro c’è anche l’istituto del referendum propositivo. Ci spiega come funzionerebbe e quali sono i rischi (se ci sono)?

Questa proposta di modifica della Costituzione prevede un istituto conosciuto anche in altri ordinamenti, come in Svizzera o in alcuni Stati membri degli Stati Uniti, che viene chiamato “iniziativa legislativa”, funziona così: il popolo presenta una proposta di legge al Parlamento, il Parlamento ha un certo periodo di tempo per discuterla e può approvarla, può respingerla, può modificarla. Se il Parlamento entro un determinato periodo di tempo non delibera oppure delibera di respingerla oppure la modifica, si dà luogo a un referendum e se c’è un testo alternativo del Parlamento il corpo elettorale può scegliere tra la proposta di iniziativa popolare e il testo del Parlamento. È chiaramente diverso dal referendum abrogativo previsto in Costituzione, infatti il popolo ha l’iniziativa e alla fine se il Parlamento non concorda è con referendum che si scioglie la questione. Anche questo in sé e per sé non è una novità assoluta, perché se n’era occupata anche la commissione di studio presieduta dal ministro Quagliariello e anche nella riforma Renzi l’istituto era previsto. Era qualcosa che già era in discussione, un rafforzamento degli istituti di cosiddetta democrazia diretta. Ma c’è un punto che ritengo critico.

A cosa si riferisce?

Quello che a me non pare accettabile nella proposta che è stata presentata è che si possano presentare iniziative legislative popolari di questo genere anche per quanto riguarda leggi di spesa. Questo può essere molto pericoloso. Anche se è previsto che per le proposte di legge che dispongono nuove spese bisogna trovare le coperture degli oneri, si potrebbe provocare una surrettizia modifica del bilancio dello Stato approvato dal Parlamento senza contare che si potrebbero creare spaccature sociali profonde. Ad esempio, se per coprire determinate spese si colpissero specifiche categorie di cittadini, magari minoritarie. Io, come era previsto nel testo della commissione di studio che ho citato prima (commissione Quagliariello, ndr) proibirei l’estensione di un simile istituto alle leggi di spesa.

Pensa che l’eliminazione del quorum potrebbe essere un problema?

Anche questo è un punto importante: per l’eventuale referendum non è previsto alcun quorum quindi una legge – parliamo di leggi ordinarie ovviamente – può essere approvata da una parte molto ridotta del corpo elettorale. Questo può essere un pericolo perché può darsi che quella legge non trovi riscontro in un sentimento diffuso del corpo elettorale, ma trovi solo il sostegno degli attivisti che partecipano massicciamente al referendum.

Insomma, meglio tenerlo?

Può darsi che il quorum previsto dall’articolo 75 per il referendum abrogativo – cioè la maggioranza degli elettori – sia eccessivamente elevato, però anche un quorum più ridotto andrebbe comunque mantenuto per una questione di garanzia della serietà della consultazione.

La ratio delle riforme proposte, secondo il ministro Fraccaro, è quella di avvicinare i cittadini alle istituzioni. Pensa che le modifiche proposte possano andare in questa direzione?

Io mantengo qualche perplessità. La democrazia diretta in uno Stato contemporaneo non può sostituire del tutto la democrazia rappresentativa e l’innesto di istituti di democrazia diretta in sistemi di democrazia rappresentativa non può superare un certo limite. Facevo l’esempio prima delle leggi di spesa. I nostri costituenti introdussero nell’ordinamento il referendum, però abbastanza circoscritto, il che ha consentito una partecipazione popolare in determinate vicende – ricordo come particolarmente importanti quelle relative ai diritti civili come furono il divorzio o l’aborto – ma altre materie sottoporle a referendum non so quanto sia saggio.

Cosa intende?

Anche quando si parla di democrazia diretta bisogna intendersi: sembrerebbe che così è il popolo che decide. In realtà in ogni sistema politico si formano delle élite e queste dirigono il corso della politica. In una società come quella attuale ad alta tecnologia, non solo con radio e televisione come qualche decennio fa, ma anche con la rete web, vi è il rischio di un condizionamento di soggetti elitari che possono influenzare l’espressione della volontà popolare attraverso i nuovi sistemi tecnologici. Più che avere una genuina espressione della volontà del corpo elettorale, allora, potremmo avere una decisione condizionata da centri molto ristretti che riescono a influire sulla deliberazione, una sorta di autoritarismo informatico.

Per questa ragione la necessità delle garanzie come il quorum?

Esatto, ma non solo. Per questa ragione io, anche se non sono contrario all’istituto in sé per sé, porrei quei limiti che ho detto cercando di mantenere un sistema di democrazia rappresentativa con prudenti innesti di democrazia diretta, come avevano fatto i nostri padri costituenti. Perché in questo momento un eccesso di referendum può portare non a una maggiore democrazia, ma a una tirannia della maggioranza condizionata dai sistemi che oggi esistono di forte influenza della formazione della volontà popolare. In definitiva potrebbe essere un passo nell’accentazione del populismo.

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