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Huawei e 5G. Con Di Maio il tema torna al Copasir?

di maio

Stamattina Luigi Di Maio è di fronte al Copasir, il comitato parlamentare di vigilanza sull’intelligence. E, sebbene non vi siano indiscrezioni sui temi da trattare, è verosimile che nell’audizione del ministro dello Sviluppo economico possa rientrare anche qualche approfondimento sulla posizione preferenziale acquisita dalla compagnia di telecomunicazioni cinese Huawei nel settore 5G, la futura tecnologia per le comunicazioni mobile (che è anche una delle ragioni che animano lo scontro globale tra Washington e Pechino).

L’ESECUTIVO E LA CINA

Osservatori fanno notare che il governo del M5S, più dei precedenti, sembra aver inaugurato una nuova stagione di crescita delle relazioni bilaterali fra Italia e Cina. Manifestazione concreta di questa tendenza sono la visita tenuta in terra cinese dal sottosegretario al Mise Michele Geraci, a capo della nuova Task Force Italia-Cina, ma anche la partecipazione dello stesso Di Maio (già recatosi nel gigante asiatico in visita istituzionale), insieme ad altri esponenti del Movimento – tra cui il sindaco di Roma, Virginia Raggi – al “Huawei 5G Summit” organizzato il 28 settembre scorso nella Nuova Aula dei Gruppi alla Camera dei Deputati, considerato da alcuni osservatori come “la rampa di lancio per fare dell’Italia il pivot europeo della rivoluzione (cinese) del 5G”.

Non è tutto. Di Maio e Geraci torneranno in Oriente (a Shanghai) a novembre, in occasione della China International Import Expo che si terrà nella metropoli cinese dal 5 al 10 novembre prossimo, per quella che il titolare del dicastero del Mise definisce “una grande occasione per rafforzare l’amicizia con la Cina”.

OPPORTUNITÀ E RISCHI

Per il Mise (Geraci lo ha detto più volte), la ragione alla base di questa attenzione verso Pechino non è di natura geopolitica, ma prettamente economica. Roma punta molto su un rafforzamento dei rapporti commerciali sino-italiani, a cominciare dalla Belt and Road Initiative, un nuovo sistema di interconnessione mondiale per i commerci e l’import-export tra Asia, Europa e Africa, all’interno del quale l’Italia intende recitare un ruolo importante. Tuttavia, commentano molti esperti di sicurezza, il problema potrebbe porsi nel momento in cui questa collaborazione dovesse allargarsi ad asset strategici, come le reti e il 5G.

LE PREOCCUPAZIONI DELL’OCCIDENTE

Se infatti a Washington è allarme rosso – basti pensare alle dichiarazioni pubbliche del presidente Usa Donald Trump a corredo della politica di dazi nonché ai report, anche pubblici, dell’intelligence americana sullo sforzo d’influenza militare, tecnologica e geopolitica che Pechino starebbe attuando – in Italia l’approccio governativo a questo tema è differente e pare sottovalutare gli effetti del neo imperialismo cinese condotto attraverso le infrastrutture e la tecnologia. Non a caso molti Paesi occidentali hanno già adottato provvedimenti per tenere fuori dal 5G i player del Dragone come Huawei e Zte. Non l’Italia.

GLI ALLARMI DELL’INTELLIGENCE

Eppure, ha ricordato Formiche.net, gli 007 italiani hanno messo più volte in guardia il governo negli scorsi anni – nel 2012 e nel 2014 – dall’avanzata della multinazionale hi-tech, che è privata (il 98,6% delle azioni, aveva scritto il Sole, è dei dipendenti) ma nondimeno riceve cospicui finanziamenti da alcune delle più grandi banche governative cinesi come Bank of China e Industrial & Commercial Bank of China e ha come fondatore un ex ufficiale dell’esercito di Liberazione popolare cinese, Ren Zhengfei.

Tra coloro che a suo tempo evidenziarono i rischi di un affidamento delle reti di comunicazione nazionale a soggetti stranieri, Pechino inclusa, uno dei più attivi fu il senatore Giuseppe Esposito, già vice presidente del Copasir, che auspicò l’istituzione di una task-force dedicata e che recentemente è tornato a parlare della questione in un’intervista su questa testata. L’appello rimase inascoltato, nonostante le raccomandazioni dell’intelligence. E persino il Movimento Cinque Stelle, che criticò con vigore il governo Renzi per la cessione del 35% di Cdp Reti a State Grid, sembra essersi infatuato del Dragone. I rischi, però, evidenziano gli addetti ai lavori (qui molte opinioni raccolte da Formiche.net), restano i medesimi di allora.

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