Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Il caso Khashoggi colpirà le relazioni tra Washington e Riad?

yemen, difesa

Mentre l’Arabia Sauditi dichiarava di non accettare pressioni dall’esterno, Francia, Germania e Regno Unito hanno preso posizione sul caso Khashoggi: “La difesa della libertà di espressione e dei giornalisti è una priorità essenziale”, scrivono i tre paesi in un comunicato congiunto.

Anche il presidente americano, Donald Trump, ha parlato del caso a “60 Minutes”, uno dei principali programmi televisivi di approfondimento domenicale. Nell’intervista andata in onda sulla CBS i passaggi sulla vicenda del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi sono piuttosto importanti, perché rappresentano un fatto che potrebbe portare smottamenti nella relazione storica tra Stati Uniti e Arabia Saudita, che Trump ha rinvigorito fin dall’inizio della sua amministrazione.

Più passano i giorni dal 2 ottobre, quando Khashoggi entrò dentro al consolato saudita di Istanbul, più sembra che la ricostruzione spifferata dalle autorità turche ai più importanti media internazionali sia reale: Khashoggi, non uno dei più duri critici del nuovo corso del potere saudita, è stato ammazzato da una squadraccia dei servizi segreti del regno che lo stava aspettando in Turchia, dentro la sede diplomatica, inviata su ordine dell’erede al trono Mohammed bin Salman (anche Mbs).

Trump ha detto alla CBS di aver ricevuto rassicurazioni da esponenti della corte saudita, ma ha anche detto che non poter escludere del tutto l’opposto (ossia che il giornalista sia stato ammazzato dal regime di Riad). Ed è già di per sé una dimostrazione aperta di un deficit di fiducia, a cui ha aggiunto: comunque Washington prenderà “severe punizioni” contro i responsabili. “Quest’uomo era un giornalista. C’è qualcosa, sarà sorpresa di sentirmelo dire, c’è qualcosa di davvero terribile e ripugnante, se venisse fuori che le cose sono andate in quel modo” ha detto Trump a Lesley Stahl, la giornalista super-esperta che lo stava intervistando.

Quel “sarà sorpresa” si lega al rapporto pessimo che Trump ha coi giornalisti, spesso indicati come “nemici del popolo”, ma anche perché finora Trump aveva usato parole più misurate sul caso Khashoggi, perché sa bene che potrebbe essere l’innesto di una crisi relazionale con Riad. Anzi, potrebbe essere stato anche l’appoggio indiscriminato che l’amministrazione Trump ha finora dato ai sauditi, ad aver fatto sentire libero il regime di sfogare anche le sue peggiori pulsioni in un modo così sfacciato.

Ci sono precedenti a favore dei sauditi, d’altronde: a giugno 2017 l’Arabia Saudita s’è messa alla guida di un set di paesi che ha deciso di punto in bianco di tagliare i rapporti diplomatici con il Qatar perché non si allineava con la propria politica regionale; a novembre 2017 il regno ha praticamente costretto alle dimissioni il premier libanese Saad Hariri (poi rientrate), tenendolo per giorni prigioniero a Riad e provocando una crisi internazionale (sempre per via di un’eccessiva, secondo i sauditi, indipendenza di Beirut dalle volontà di Riad); in quello stesso mese, MbS ha ordinato un’operazione punitiva contro diversi elementi dell’establishment politico economico a lui contrario, nell’ambito di un riassetto interno del potere; ad agosto Riad s’è scagliata contro il Canada, colpevole di aver messo becco sull’incarcerazione di un’attivista saudita; e poi c’è la guerra in Yemen, iniziata come intervento rapido nel 2015, mai risolta nonostante gli americani abbiano negli anni intensificato il proprio sostegno.

Si tratta di episodi che sono tutti finiti senza nessuna conseguenza per l’Arabia Saudita – un pattern che ha fatto sì che Riad si sentisse onnipotente? I congressisti americani fanno sapere (e capire) che non ne possono più, e mentre il legislatori discutono piani punitivi, sono iniziati i primi segnali di annacquamento (leggero) nei rapporti: Richard Brunson, imprenditore britannico visionario che con la sua immagine avrebbe dovuto essere uno dei tanti tasselli con cui bin Salman vuol vendere al mondo l’immagine di un’Arabia Saudita innovativa e aperta, ha dichiarato tre giorni fa di aver interrotto i colloqui con il fondo sovrano saudita per quanto riguarda un investimento di circa un miliardo di dollari nelle società spaziali Virgin Galactic e Virgin Orbit.

Quel che è successo con Khashoggi potrebbe cambiare “chiaramente la capacità di ognuno di noi in Occidente di fare affari con il governo saudita”, ha detto Virgin-man. Nelle stesse ore anche il Ceo di Uber, Dara Khosrowshahi, e il co-fondatore di AOL, Steve Case: idem per il Ceo di JP Morgan, e con loro diversi gruppi editoriali (tra cui New York TimesEconomist e Financial TimesBloomberg, CNN, CNBC, e alcuni vip del mondo del giornalismo, come l’editorialista Andrew Ross Sorkinhanno annunciato di voler rinunciare alla partecipazione al summit economico che si terrà a Riad alla fine di ottobre: appuntamento in cui si parlerà di investimenti sul Vision 2030, il grande piano con cui MbS intende differenziare l’enorme economia saudita dal petrolio – Steve Mnuchin, segretario al Tesoro americano, per il momento resta tra gli invitati invece, ma sotto pressione per ritirarsi. Addirittura la World Wrestling Entertainment (WWE) sta pensando se fare o meno l’evento per i dieci anni di partnership con l’Arabia Saudita (uno dei tanti link di soft power tra Usa e Arabia Saudita).

Ci sono alcune cose da guardare per capire se, come, e dove i rapporti tra Washington e Riad potrebbe subire deterioramenti, cosa che comporterebbe uno sconvolgimento di tutto l’equilibrio in Medio Oriente. La questione è davvero troppo importante, e per questo Washington sta cercando di giocare con raffinatezza (anche se segnali su un qualche nervosismo nei confronti di Riad sono stati anticipati una paio di settimane fa da alcune parole non proprio ortodosse utilizzate da Trump). Il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale, John Bolton, ha detto che si devono attendere i fatti, perché questa fuga di notizie ai media – con cui i turchi hanno voluto diffondere la storia senza esporsi direttamente dal punto di vista istituzionale – lede l’immagine di Riad.

Però venerdì venti membri su ventuno della Commissione Esteri del Senato hanno inviato una lettera alla Casa Bianca anunciando al presidente la possibilità di attivare le regole previste dal Global Magnitsky Human Rights Accountability Act per verificare, anche con un’inchiesta americana, se l’Arabia Saudita ha violato diritti civili su Khashoggi e nel caso imporre sanzioni e bloccare la vendita di armi (in pratica raccomandano a Trump di fare coi sauditi quello che sta facendo con nazioni nemiche e stati paria come Corea del Nord, Iran, o Russia e Cina). Il presidente ha già fatto sapere che per il momento di sanzioni non si parla, perché sarebbero un problema per l’economia americana. La portavoce del dipartimento di Stato, Heather Nauert, è stata incaricata dall’amministrazione di rispondere direttamente alla richiesta dei senatori e ha detto “questi sono usciti di testa”, come possiamo fare una cosa del genere senza avere in mano i fatti reali?

In realtà i senatori chiedono da prima del caso del giornalista sparito in Turchia che Washington interrompa le relazioni military-to-military con i sauditi. Le bombe (e il sostegno) americano in Yemen non stanno servendo a scacciare i ribelli separatisti Houthi, e anzi sono colpevoli, per via della sbadataggine o della foga d’azione senza discriminazione saudita, di migliaia di vittime civili. Stanno da mesi diventando un peso sul groppone di Capitol Hill (e non solo). A marzo 44 senatori hanno votato a favore dell’interruzione del supporto americano ai sauditi sul conflitto yemenita; poco dopo il Senato ha respinto con una maggioranza non schiacciante una richiesta di interrompere la vendita di armi a Riad – un contratto chiuso personalmente da Trump durante la sua prima visita all’estero, che ammonta a 110 miliardi di dollari: il senatore democratico del Connecticut, Chris Murphy, ha detto che un accordo simile in questo momento non passerebbe mai l’ok della camera alta (dove per ora i repubblicani hanno una maggioranza di un solo voto).

La questione è intricatissima, perché Ankara ha messo Riad alle strette, pubblicando addirittura i nomi dei 15 agenti mandati ad ammazzare il giornalista (risposta in stile Sputnik dal Golfo: erano là per un viaggio, niente di più, dice al Arabya, emittente del governo saudita). Ma è praticamente impossibile che i sauditi ammettano coinvolgimenti come quelli finiti sulle prima pagine dei giornali internazionali che dicono che sia stato MbS a ordinare l’operazione. Sarebbe un’ammissione di colpa con conseguenze enormi: più facile, ci dice una fonte diplomatica che preferisce non essere nominata, che bin Salman usi la vicenda per continuare il repulisti interno incolpare parti del governo e del regno che gli sono contrarie, colpevoli in questo caso di aver compiuto una missione di sabotaggio per metterlo in imbarazzo davanti al mondo – e non è da escludere che sia andata veramente così, aggiunge.

×

Iscriviti alla newsletter