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Trump, Conte e Putin. Tutti d’accordo sul multilateralismo italiano?

“Ieri le parole di Putin, oggi quelle di Donald Trump. L’Italia gode della fiducia di grandi Paesi, andiamo avanti così“, ha scritto giovedì sera Giuseppe Conte sul suo profilo Instagram, per commentare la due giorni di contatti avuti con due delle grandi potenze mondiali dall’Italia. Ora il dubbio è capire la dimensione della situazione: gli americani sono d’accordo con questo multilateralismo Ovest-Est?

Il presidente degli Stati Uniti, Trump, ha avuto una conversazione telefonica con il premier italiano, in cui, secondo quanto scritto dall’americano su Twitter – da dove la telefonata è stata resa pubblica, insieme a un’altra con il francese Emmanuel Macron – Washington ha confermato la sua vicinanza a Roma (e a Parigi).

Da sponda fa la posizione severa sull’immigrazione clandestina che entrambi i governi stanno prendendo, ma ci sono anche posizionamenti più importanti. Che il messaggio di Trump fosse anche spin politico per la crisi che si sta sviluppando live verso il confine meridionale degli Stati Uniti con l’arrivo della cosiddetta “carovana di migranti”, è possibile: però, fanno notare ambienti diplomatici che commentano in forma discreta, non era per niente scontato che arrivasse un contatto in questo momento. Perché, spiegano, ultimamente il governo italiano ha giocato con elevata disinvoltura su due argomenti delicati, la Cina e la Russia, che gli Stati Uniti considerano rivali strategici e test per classificare la bontà delle loro amicizie.

La tempistica della telefonata è straordinaria: Conte era appena rientrato da una visita a Mosca, dove aveva tenuto un faccia a faccia col presidente Vladimir Putin. Pochi giorni prima, l’ambasciatore americano in Italia, Lewis Eisenberg, aveva ospitato il vicepremier Matteo Salvini, anche lui arrivato in Via Veneto dopo essere rientrato da poche ore dalla Russia, per una partecipazione nemmeno troppo anticipata a un evento della Confindustria locale, durante la quale aveva lasciato ai giornalisti presenti una frase rimbalzata in diversi uffici diplomatici: “In Russia mi sento a casa, in alcuni paesi dell’Ue no”.

I rapporti tra Mosca e Washington sono relativi: sul piano Trump, c’è ancora massima disponibilità al dialogo, ma l’amministrazione – che comunque Trump rappresenta nel suo massimo vertice – è forse la più severa di sempre con la Russia. Tra l’altro sono in arrivo nuove sanzioni che per stesse ammissioni dei russi potrebbero segnare un colpo duro all’economia interna, già segnata dalle misure restrittive precedenti.

Washington ha già dimostrato in passato di non apprezzare scatti in avanti sul tema: Conte, mesi fa, sembrava aver in mente cambiamenti, ma alla fine l’Italia s’è allineata al resto dell’Unione Europea e ha avallato il prolungamento del regime punitivo. L’altro ieri a Mosca, il premier italiano ha definito le sanzioni come “un mezzo per cercare di impostare la risoluzione di vertenze”, prendendo dunque una linea diversa da quando, durante il suo discorso di insediamento al Senato, diceva che era necessaria “una revisione del sistema”.

Va anche detto che, nonostante la cordialità nelle relazioni, a Mosca Conte non ha avuto ottimi feedback. Per esempio, i giornalisti russi non sono sembrati estremamente interessati nel porre domande al premier italiano. Durante la conferenza stampa congiunta il capo del Cremlino ha addirittura avanzato l’ipotesi che, se Trump dovesse piazzare missili nucleari in Europa – conseguenza dell’annunciato ritiro americano dal Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (Inf) – allora Mosca sarebbe costretta a prendere di mira i paesi che permetteranno il dispiegamento dissuasivo strategico agli americani.

Quasi una minaccia anche all’Italia, davanti alla quale – fanno notare i più attenti a certi linguaggi del corpo – Conte non solo non ha risposto, ma si è messo a volto chino mentre Putin passava sul delicatissimo argomento, di cui il russo ha annunciato di voler parlare personalmente con Trump a Parigi, l’11 novembre. Ieri sul New York Times è intervenuto con un op-ed l’ex presidente russo Mikhail Gorbaciov, che insieme a Ronald Reagan l’Inf l’ha firmato una trentina di anni fa: l’uomo della Perestrojka dice che si rischia la “militarizzazione degli affari globali”, sarebbe un errore il ritiro americano e si augura che gli alleati degli Stati Uniti “dopo sobria riflessione, rifiutino di trasformarsi in rampe di lancio per i nuovi missili statunitensi”.

Davanti a Conte, Putin ha anche detto che non vede “ostacoli politici” su un eventuale acquisto di buoni del tesoro italiani da parte della Russia. “Vorrei esser chiaro – aveva detto Conte – non sono venuto qui a chiedere a Putin di comprare titoli italiani tramite il fondo sovrano. L’economia italiana è solida. All’estero è riconosciuto, meno in patria. Se poi all’esito di valutazioni tecniche il fondo sovrano e la banca centrale lo faranno”, acquisteranno titoli, sarà perché è conveniente, “perché si fa un buon affare a investire in Italia…”.

Ma mentre Putin ricordava la solidità del suo fondo sovrano, in grado di crescere di 7 miliardi al mese (cosa che basta cercare i numeri per capire che non è esattamente realistica), le analisi sulle possibilità di Mosca sono negative. La Russia ha due fondi sovrani, il Rdif (che però è strutturato in modo tale da attrarre capitali esteri e investimenti in aziende e progetti russi) e il National Welfare Fund, che reinveste i ricavi di gas e petrolio e che potrebbe anche prendere titoli esteri, se non fosse che per statuto non può comprarli se non si attestano a livelli molto più alti di quelli del rating degli italiani (minimo Aa3 nella classificazione di Moody’s, che ai titoli italiani dà Baa3).

Per altro il fondo – che ha anche funzione di stabilizzazione interna, per attutire l’impatto di abbassamenti del prezzo del petrolio, cui l’economia russa è vincolata – è in generale piuttosto piccolo, ha in cassa qualche dozzina di miliardi di euro e non sarebbe che un minimo palliativo per le necessità italiane (per capirci, il Tesoro mette in vendita ogni volta 30 miliardi di Btp, il Nwf russo ha in cassa 77 miliardi investibili: nel prossimo anno l’Italia deve piazzare 250 miliardi di titoli nel 2019).

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