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La voce (critica) di Bauman sulle politiche migratorie

Di Riccardo Mazzeo
bauman

I cancelli, notoriamente, non sono in grado di fermare l’acqua. E nel mondo liquido-moderno descritto da Zygmunt Bauman, in particolare negli ultimi anni in cui il maestro aveva osservato con apprensione, ma anche con la consueta ironia, i tentativi posti in essere per arginare, respingere, risputare le inondazioni di persone disperate e l’irrompere di elementi diversi, inconsueti e per ciò stesso sgraditi al di fuori delle nostre frontiere, assistiamo a un prevalere dell’elemento acquatico su quello terrestre.

Slavoj Žižek ne ha parlato nel suo penultimo libro (Disparità, Ponte delle grazie) identificando il vampiro della finanziarizzazione con il Kraken, cioè il calamaro gigante. “Se noi postuliamo come elemento primordiale l’acqua al posto della terra […] è la struttura di tutto lo spazio che cambia, un elemento straniero che ha la meglio sulla stabilità della patria, un processo fluido che ha la meglio sulla stabilità di una sostanza solida”. “Non è [il nostro tempo] forse un’epoca simile a quella del Kraken risvegliato? Non è forse il Kraken un’immagine perfetta del capitale globale, onnipotente e stupido, astuto e cieco, i cui tentacoli determinano le nostre vite?”.

Negli anni Sessanta si era cercato da varie torrette di osservazione un termine per definire i mutamenti che si sarebbero prodotti nella società, e il più fortunato era stato il “rizoma” di Deleuze, “una complessa rete di interconnessioni priva di un ente di controllo centrale”, che oggi con qualche forzatura potremmo assimilare a Internet. Ma ancor prima si era identificata la protagonista di un sovvertimento del mondo con la talpa, già in Shakespeare, nell’Amleto, e poi in Marx (“L’Europa balzerà dal suo seggio e griderà: ben scavato, vecchia talpa!”). Ma restava sempre uno scenario terreno, mentre l’elemento in cui il Kraken prospera è l’acqua.

Ecco quindi tanti Stati un tempo veramente sovrani correre ai ripari erigendo barriere, illudendosi di poter far retrocedere le lancette dell’orologio a un tempo mitizzato in cui tutta quest’acqua restava confinata nei bacini appropriati, un’acqua addomesticata, “come pettinata e vetrificata, immobile”, in cui non fosse ancora emerso il sistema tecnico centralizzato. Non possiamo prescindere da questa nuova cosmogonia, come non possiamo azzerare gli splendori e gli orrori del web, della connessione perpetua, della visibilità del mondo di coloro che vivono in prosperità agli occhi di quelli che invece patiscono privazioni in termini sia economici sia di libertà d’espressione, quando non sono addirittura stritolati da guerre senza fine.

L’acqua non si arresterà. Bauman però ci invita a recuperare un senso morale e una capacità di ricominciare ad agire in termini di “noi” anziché di “io”, per ripulire quest’acqua dai liquami e darle nuove direzioni, nuove prospettive, nuove configurazioni più virtuose e più nobili.

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