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Manovra e innovazione. Vi spiego come trasformare l’Italia in una smart nation

brexit, Unione europea, Paganetto

La Nota di aggiornamento del Def (NaDef) dà priorità e centralità al rilancio degli investimenti: “Il rilancio degli investimenti è una componente importante della politica economica del governo e uno strumento essenziale per perseguire obiettivi di sviluppo economico sostenibile”. Si sa che il rilancio degli investimenti è frenato non solo da vincoli di bilancio, ma anche da una serie di fattori di natura legale, burocratica e organizzativa che si sono accumulati nel corso degli anni. Al di là della questione degli investimenti, quel che conta è che la NaDef ritiene di vitale importanza per il Paese investire sull’innovazione e sulla tecnologia, per recuperare un gap consistente sul digitale, sull’offerta di servizi, sulla penetrazione della banda larga, seppure con differenze territoriali e sulle competenze digitali.

In quest’ottica il governo intende promuovere una strategia nazionale per realizzare le sinergie che sono necessarie per creare valore nei settori della Ricerca e Sviluppo, della formazione di capitale umano e delle infrastrutture. Non solo. Ma il settore pubblico intende avere un ruolo trainante e trasformare il nostro Paese in una “smart nation”. È una scelta importante perché vi è una stretta relazione tra la velocità della ripresa e il desiderio e la capacità di innovare. La sua proxy è la dinamica del Tfp. Non va mai dimenticato che il Tfp, in Italia, ha un andamento piatto dalla fine degli anni ‘90. Ma come realizzare in concreto la scelta per l’innovazione?

L’esperienza ci dice che non basta aumentare l’impegno su R&D, ma occorre intervenire su tutta la filiera dell’innovazione. Sono gli investimenti ad essere portatori di innovazione. Una loro selezione appropriata è dunque essenziale perché si produca il circuito virtuoso investimenti-innovazione-sviluppo. Si tratta di una questione decisiva quanto la rimozione delle difficoltà burocratiche ed amministrative alla spesa in conto capitale della Pa. A questo punto la domanda diventa: in che modo il settore pubblico può incidere sul deficit di innovazione del nostro sistema economico e trasformare il nostro Paese in una smart nation?

Una maniera per farlo è di puntare sulla spinta che può venire dalle partecipate pubbliche. Lo Stato azionista può assicurare non solo il suo intervento sul mercato per investimenti a forte contenuto di innovazione attraverso l’azione delle istituzioni finanziarie di promozione dello sviluppo, come Cdp, sia incentivando le partecipate pubbliche a fare altrettanto perseguendo “missioni” come quella dell’“economia circolare” o della digitalizzazione. In quest’ultimo caso ne verrebbe influenzata tutta la filiera che lavora in sub-commessa con le grandi imprese o che opera in una nicchia tecnologica competitiva. È chiaro che tutto questo esige tempo. Si tratta di un programma di medio periodo che dovrebbe impegnare le forze politiche per un’intera legislatura. Ne saranno capaci?

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