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La Francia è nazionalista. Make France Great Again, il consiglio di Trump a Macron

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La bromance tra Donald Trump ed Emmanuel Macron è finita? A giudicare dalla raffica velenosa di tweet sganciata oggi dall’americano, si direbbe di sì: “È davvero morta [la bromance]”, come scrive Bloomberg. Ciò che è diventato chiaro è che qualunque sia stata la chimica personale tra i due, le loro differenze politiche hanno lasciato il posto a un’aperta animosità.

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“Emmanuel Macron suggerisce di costruire un proprio esercito per proteggere l’Europa da Stati Uniti, Cina e Russia”, dice (di nuovo) Trump tornando su un tema affrontato già giorni fa, dopo una dichiarazione del presidente francese alla vigilia del memoriale della Prima guerra mondiale ospitato a Parigi (presente, tra i tanti leader mondiali, anche il Prez).

Qualche giorno fa c’era stato un giro di botta e risposta sull’argomento: Macron aveva parlato della necessità di creare un esercito comune “europeo”, vecchio pallino del francese, su cui sta da tempo cercando di coinvolgere la Germania. E gli Stati Uniti erano finiti in qualche modo nella lista dei nemici: “Very insulting“, aveva definito la situazione Trump. Poi la rettifica dell’Eliseo: c’è stato un fraintendimento, spiegavano da Parigi, Monsieur le Président si riferiva al cyber-spazio. Ma come!? Replica stupita da Washington: noi saremmo nemici nell’ambito cyber della Francia e dell’Europa? Commenti presi fuori contesto, chiosavano ancora da Parigi, Macron diceva che un’Europa “sovrana” doveva difendersi da “Russia, Cina e persino dagli Stati Uniti” – persino.

La dinamica goffa francese era in parte stata superata dai convenevoli della celebrazione di due giorni fa, il ricordo della Prima guerra mondiale era argomento di storia, cultura, politica, globale, che non poteva permettere polemiche. Ma evidentemente non è cambiato troppo tra i due “maverick”, i ribelli, come sulla trumpiana Fox News Macron aveva definite se stesso e Trump, quando quella bromance sembrava all’apice.

“A Parigi avevano iniziato a imparare il tedesco prima che gli Stati Uniti arrivassero”, twitta Trump – una bordata con cui ricorda il fondamentale ruolo americano nella liberazione nazifascista francese – e poi rincara la dose facendo riferimento alla necessità che la Francia si metta in pari con gli obiettivi del 2 per cento del Pil in investimenti militari richiesti dalla Nato (la Francia in realtà non è messa malissimo: ha un rapporto intorno all’1,8 per cento con un previsionale di crescita che dovrebbe portare le spese per la difesa a salire di poco oltre al due nei prossimi anni. Una volontà politica diretta di Macron).

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Ma non basta. “Il patriottismo è l’esatto contrario del nazionalismo”, aveva detto Macron nel suo discorso ai leader mondiali riuniti per le commemorazioni dell’Armistizio di Compiègne (che mise fine alla Prima guerra mondiale), con Trump seduto nelle vicinanze: “Mettendo i nostri interessi in primo piano, senza riguardo per gli altri, cancelliamo la cosa che una nazione tiene più cara e la cosa che la mantiene viva: i suoi valori morali”. L’attacco francese era chiaramente riferito alle politiche America First trumpiane, quelle secondo cui è arrivato il momento di pensare per prima, e di più, agli interessi degli Stati Uniti come nazione.

Colpito e affondato da un altro tweet di Trump, oggi: “Il problema è che Emmanuel soffre di un rating di approvazione molto basso in Francia, il 26 per cento, e un tasso di disoccupazione quasi al 10. Stava solo cercando di andare su un altro argomento. A proposito, non c’è paese più nazionalista della Francia, persone molto orgogliose. E giustamente è così!”. “MAKE FRANCE GREAT AGAIN!”, chiude Trump in un altro tweet (letterale, anche il maiuscolo).

In mezzo un altro passaggio, con una sottile minaccia: sempre su Twitter il presidente americano ha sottolineato la chiusura del mercato francese, al di là delle parole globaliste (per usare un termine caro a uno degli ideologi del presidente, Steve Bannon). Usa l’esempio del vino, Trump: i francesi fanno dell’ottimo vino, ma lo facciamo anche noi americani; solo che che noi permettiamo a loro di venderlo inondando il nostro mercato, loro ce lo chiudono, spiega.

Ed è una rappresentazione perfetta del pensiero trumpiano, che altro non è che l’interpretazione schietta e aperta di ciò che gli americani pensano da anni: occorre riequilibrare l’impegno Usa nel mondo; gli americani hanno iniziato da tempo a sentirsi sfruttati, sul commercio, sulla difesa, sulle politiche internazionali. In questo la potente semplicità di Trump diventa disarmante. Il newyorkese è probabilmente il più onesto dei presidenti americani degli ultimi decenni, va dritto al punto ed espone apertamente queste sue priorità strategiche, senza cercare di nascondere i propri interessi sotto una qualche linea più fashion.

 

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