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Perché l’attentato a Nairobi traccia la linea del terrorismo in Kenya

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Qualche giorno fa, precisamente il 15 gennaio, un hotel nel distretto settentrionale di Nairobi, in Kenya è stato vittima di un attentato portato a compimento da un commando formato da circa cinque miliziani. Un attacco di portata decisamente complessa che pone interrogativi su come i gruppi terroristici formatisi e che agiscono in quelle zone, in modo particolare al-Shabaab, abbiano alle loro spalle un meccanismo strutturato ed efficiente, in grado di attaccare obiettivi difficili.

I MOTIVI DIETRO L’ATTENTATO

Come si legge in un’analisi del Cesi, tra le ragioni alla base dell’attacco potrebbe esserci in primo luogo la chiara volontà di colpire un Paese come il Kenya, impegnato ormai da diversi anni nella stabilizzazione della Somalia e nel contrasto al terrorismo jihadista. Dall’altro lato, poi, considerato l’alto tasso di residenti stranieri, tra dipendenti delle ambasciate e delle organizzazioni internazionali, ci sarebbe la necessità di colpire più in generale l’occidente, in particolare gli Usa, con i suoi governi e cittadini.

Un attentato, dunque, quello compiuto da al Shabaab oltre che mirato probabilmente a rivendicare proprio l’impegno dei propri governi della lotta al terrorismo jihadista, anche a lanciare un messaggio agli Stati Uniti che nell’ultimo periodo hanno aumentato il numero di attacchi aerei contro obiettivi sul territorio somalo. Una volontà propaganistica, in definitiva. D’altra parte, poi, sempre nel report Cesi, si legge come il violento attacco, che ha causato circa 14 morti e diversi feriti, potrebbe inserirsi nella modalità competitiva tra al Shabaab, affiliato ad al-Qaeda dal 2012 e la ramificazione dello Stato Islamico in Somalia (che nell’ultimo anno ha aumentato il proprio raggio di azione e il numero degli attentati sul territorio).

I PRECEDENTI

Era il 2013 quando al centro commerciale Westgate, sempre a Nairobi, un’attentato jihadista causava 75 morti e 140 feriti. Proprio in quell’occasione il gruppo terrorista aveva rivelato le proprie diramazioni e trasformazioni. Da entità locale si era tramutato in una più vasta rete di rapporti, arrivando fino all’Uganda. Nonché, come sottolineato dal Cesi, “l’accrescimento delle capacità e dell’influenza di al-Hijra (ex Centro della Gioventù Islamica).

IL FUTURO

Ad oggi ci troviamo in una situazione abbastanza statica nel Paese dal punto di vista della lotta al terrorismo. E nonostante i progressi dell’African Union Mission in Somalia (Amisom) e delle realtà locali che operano per la sicurezza del territorio, tutto, dal punto di vista politico, sociale ed economico resta estremamente vulnerabile. E dunque tutto può diventare terreno fertile per la radicalizzazione dei vari ceppi terroristici, che in questo modo riescono ad inserirsi in maniera profonda nei gangli nella società tanto che riuscire a estirparli diventa un’operazione piuttosto complicata.

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