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Perché Trump vuole gli Usa fuori dal Trattato Inf

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La sottosegretaria di Stato americano per il controllo degli armamenti e la sicurezza internazionale, Andrea Thompson, ha confermato l’intenzione degli Stati Uniti di ritirarsi dal trattato Inf (quello sulle armi nucleare a medio raggio) dopo un incontro con una delegazione russa a Ginevra. Meeting che entrambe le parti hanno descritto come un fallimento.

“Non è un quadro nuovo, anche se più spinto che in precedenza: già da tempo gli Stati Uniti accusavano la Russia di venir meno all’accordo, prima con Obama nel 2014 e oggi con Trump. A ciò si aggiunge anche il segretario della Nato, Jens Stolenberg, che si è detto preoccupato‘” per l’atteggiamento russo”, spiega a Formiche.net l’analista Lorenzo Carrieri (policy & economic analyst con un minor in Strategy presso Sais della Johns Hopkins, collabora con diverse centri di ricerca e testate).

Ma cos’è effettivamente successo? “In sintesi, Mosca avrebbe apparentemente installato presso l’enclave di Kaliningrad missili di teatro a medio e corto raggio banditi dall’Inf. Il Cremlino nega, e lo stesso Putin afferma che il sistema di missile da crociera balistico Novator 9K720 Iskander, al centro della controversia con gli Usa, non ha gittata sopra i 500km ed è posizionato su lanciatori mobili”.

Ieri, nel suo discorso annuale, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha accusato gli Stati Uniti dicendo che Mosca si era offerta di aprire il proprio arsenale agli esperti statunitensi per ispezionare il missile sospetto, ma avrebbe ricevuto da Washington un rifiuto. Lavrov ha anche sottolineato che comunque il 9K720 non viola i limiti stabiliti nel trattato. Secondo il potente capo della diplomazia russa, gli americani hanno una posizione bloccata su un ultimatum, e chiedono alla Russia solo una cosa: distruggere quei missili e tutta la tecnologia connessa. Thompson sostanzialmente ha confermato: dice che gli Stati Uniti sono almeno cinque anni che chiedono trasparenza, e le ispezioni non bastano. Serve bloccare il programma.

“Tuttavia, questi sistemi, se sotto la gittata dei 500km, rimangono facilmente modificabili per ampliarne la portata, come vantato dallo stesso Vladimir Putin, nonché per trasformarli a base fissa a terra. In tutto ciò la Russia finora non ha mai consentito ispezioni internazionali. Per questo gli Stati Uniti si sono detti pronti a ritirarsi dall’Inf. Mossa con cui intendono ristabilire una parità strategica con la Russia. Putin ha risposto nella conferenza stampa di fine anno coi giornalisti, dicendo che c’è il rischio di una guerra nucleare e che la Russia non sta violando nessun trattato, ma è pronta a reagire ad ogni eventuale modifica dello status quo. Come dire: gli States hanno installato sistemi anti-missile Aegis in Romania e Polonia, noi abbiamo risposto con Kaliningrad, ora vi volete ritirare da Inf? Bene, noi ci siamo”, spiega Carrieri.

L’ultimatum di cui parla Lavrov è quello del 2 febbraio, data entro la quale la Russia dovrebbe fare i progressi richiesti dagli Usa, secondo direttiva del presidente Donald Trump, che sulla base delle ricostruzioni dei media americani, avrebbe seguito la linea dettata dal consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, per quanto riguarda tempi e modi del ritiro (che sarà effettivo dal 2 agosto). È un gioco a somma zero? “Si vedrà – dice l’analista – quel che è certo è che, al contrario del caso Euromissili, quando si formò una coalizione formata dal socialista Schmidt, la conservatrice Thatcher e i governi di Italia, Olanda, Belgio e Francia, l’Europa è più che mai silente e/o divisa tra governi populisti ed europeisti, fiaccata moralmente, finlandizzata”.

Un esperto di nuclear policy del think tank Carnegie, James Acton, ha proposto una serie di ispezioni combinate Nato-Russia: l’apertura ad ispettori russi per la verifica del sistema Aegis e degli annessi lanciatori Mk-41, che il Cremlino postula possano lanciare missili da crociera, e la verifica da parte Nato delle postazioni Iskander. Inoltre, Acton propone il dispiegamento di sistemi di difesa anti-missile Patriot Pac-3. “Il fondamento logico di questo ragionamento – spiega Carrieri – è che, perseguendo questa doppia opzione sullo stile della crisi degli Euromissili (un’apertura al dialogo combinata con l’installazione del sistema Mim-104 e il dispiegamento di missili da crociera non-nucleari) possa bastare agli Usa per negare il vantaggio dell’inadempienza russa con il trattato Inf”.

Il problema, continua Acton, è che, dati i rapporti sempre più tesi tra alleati europei della Nato e Stati Uniti, difficilmente ci sarà la fila per ospitare sistemi d’arma simili. Al contrario, la Russia coglierebbe la palla al balzo per sviluppare eventuali armi proibite dall’Inf “Insomma, ritirandosi dal trattato, gli Stati Uniti perderebbero considerevole leva nel creare pressione per opporvisi. Un autogol, insomma”.

In secondo luogo, c’è il cambiamento nell’equilibrio di potenza nel nuovo ordine internazionale. È inutile negare che la Cina è il nuovo secondo polo: dal commercio alle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale, passando per le guerre valutarie e i mercati borsistici, l’equilibrio dipende dal rapporto tra Washington e Pechino. E forse questo c’entra anche l’Inf? “La Cina non è nell’accordo, ragion per cui possiede e continua a sviluppare missili a capacità nucleare a medio e corto raggio, come il Dong-Feng 26, capace di colpire installazioni e/o navi militari americane nel Pacifico. Stando così le cose, l’idea di Bolton e Trump è quella di raggiungere un equilibrio strategico sulla questione missili con la Cina, per poi forzarla ad un eventuale negoziato, come avvenne con l’Urss. Agli occhi di Bolton in questo modo l’onere della decisione spetterebbe a Pechino”.

Rischi? “Sicuramente quello di scatenare una nuova corsa agli armamenti e di vedersi minacciata da un avversario tecnologicamente superiore, almeno fino a d’ora, con sistemi d’arma più avanzati e, soprattutto, senza la capacità di difesa garantite da sistemi di intercettazione anti-missile sofisticati come Aegis o Gmd”.

Poi c’è quello che viene definito il paradosso strategico: la possibilità per stati tecnologicamente inferiori e/o non democratici- come l’Iran o la Corea del Nord con il loro programma missilistico, di ricorrere a missili a medio e lungo-raggio equipaggiati con armi nucleari e/o batteriologiche per controbilanciare, se non del tutto almeno in parte, la predominanza delle forze convenzionali delle democrazie occidentali. “D questo punto di vista, il dispiegamento del sistema anti-missile Aegis Ashore in Europa e Turchia contro la minaccia iraniana o quello dei sistemi Thaad in Giappone e Sud Corea, agli occhi dell’amministrazione Trump, non garantirebbero la sicurezza delle installazioni americane e dei suoi alleati. Per questo ci sarebbe la necessità di un ritiro da Inf e un continuo sviluppo di missili balistici nucleari a medio e corto raggio”.

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