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Pedro Sánchez: essere bravi (e di sinistra) non basta più

spagna, madrid

La pesante sconfitta parlamentare di oggi alle Cortes di Pedro Sánchez potrebbe aprire le porte ad un rapido precipitare verso le elezioni, anche se non c’è un automatismo costituzionale a prevederlo. La situazione politica spagnola infatti è diventata decisamente complicata per l’ultimo primo ministro di sinistra d’Europa (tra i Paesi importanti), il cui governo si regge da mesi con il sostegno determinate di un gruppo di parlamentari indipendentisti di varie formazioni. Il voto di oggi però non è un voto tecnico (le condizioni economiche spagnole sono più che dignitose, con una crescita prevista del Pil 2019 del 2,1 nelle tabelle Ue), ma è un voto totalmente e irriducibilmente politico.

Ed è tale per due ragioni convergenti che finiscono per mettere in ginocchio il giovane (e bravo) leader del Psoe: la crisi gravissima della sinistra spagnola e la delicatissima situazione catalana. Cominciamo da questa seconda, lascito devastante e velenoso dell’ultima fase di governo di Mariano Rajoy (capo dei popolari spagnoli fino allo scorso anno). Proprio in questi giorni si sta aprendo a Madrid il processo contro 12 leader politici catalani, accusati di ribellione, sedizione e malversazione. Ebbene questo processo rende plasticamente evidente la disastrosa gestione che Madrid ha messo in campo della crisi catalana, gestione pessima soprattutto a causa dell’atteggiamento di totale chiusura proprio di Rajoy che, spalleggiato pubblicamente da Angela Merkel, ha scelto la linea dura contro le istanze autonomiste/indipendentiste della Catalogna (per la cronaca la regione più ricca della nazione).

Si può infatti discutere a lungo sulle posizioni politiche catalane, ma va loro riconosciuto di non avere mai ceduto spazio alla violenza, mentre il governo centrale ha mostrato una insopportabile insipienza politica nella conduzione della vicenda, mista ad arroganza e superficialità. Il risultato finale è che, nel frattempo, sta iniziando il processo (con tutto quanto ne seguirà quale che sia l’esito) e ben due governi nazionali sono crollati proprio sul punto. Siamo quindi di fronte ad una crisi istituzionale a tutti gli effetti, che non trova risposte decenti e Madrid ma nemmeno a Bruxelles, dove da anni si fa finta di non capire quanto sta accadendo a Barcellona (esattamente come Bruxelles ha fatto finta di non vedere la pentola che bolliva sotto Brexit).

Poi c’è la crisi della sinistra spagnola, che è identica a quella che c’è in tutto il continente. Chi ha dei dubbi vada a vedere i recenti risultati in Andalusia, dove il PSOE crolla alla 28,5 %, peggior risultato di sempre nella regione. Nemmeno con un premier giovane e preparato dunque il fronte progressista riesce a tenere il passo della politica moderna, vittima dei troppi carichi del passato e di una sostanziale incapacità di agire su tema più delicato del momento, cioè l’immigrazione (il governo Sánchez ha scelto una linea di apertura e a sette mesi dall’insediamento va a casa).

Siamo solo all’inizio, sia chiaro. La pentola politica d’Europa bolle a temperature altissime. Solo Juncker non l’ha capito, troppo preso dal suo giro di cocktail.

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