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Le sanzioni europee contro la Russia funzionano? Fact-checking Ispi

Sono trascorsi cinque anni da quando l’Unione Europea, a seguito dell’annessione russa della Crimea nel marzo 2014, ha deciso di imporre un articolato pacchetto di sanzioni economiche e diplomatiche contro la Russia di Vladimir Putin. Da allora, ogni sei mesi, il Consiglio Europeo è stato chiamato a rinnovare le misure restrittive. Il Cremlino non è rimasto a guardare e ha ricambiato con la stessa moneta, colpendo le aziende europee con sanzioni sull’export.

Lega e Cinque Stelle hanno scritto nel contratto di governo di voler valutare “una revisione” di queste misure. Finora però il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non ha apposto il veto al Consiglio Europeo, rinnovando per ben due volte (a giugno e dicembre 2018) le sanzioni Ue. Il tema si riproporrà nel luglio 2019. Alfieri e detrattori delle restrizioni contro Mosca ravviveranno ancora una volta un dibattito che, non senza distorsioni e semplicismi, ha tenuto banco in Italia negli ultimi anni.

Le sanzioni sono efficaci? La deterrenza è solo politica, o c’è anche un visibile effetto economico sull’economia russa? Quanto fanno male le controsanzioni russe all’export europeo e in seconda battuta alle aziende italiane? Un fact checking pubblicato lo scorso 31 gennaio dall’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) affronta questi quesiti numeri alla mano. Il report, che porta la firma dei ricercatori Eleonora Ambrosetti, Matteo Villa e Francesco Rocchetti, delinea un quadro niente affatto banale.

IL CASO ITALIANO

Partiamo dal caso italiano, che è quello politicamente più scottante, visto che l’Italia è oggi uno dei pochi Paesi europei afflitti da dubbi di coscienza sul voto delle sanzioni contro la Russia. Gli esperti Ispi affrontano subito un tema, l’effetto delle controsanzioni russe sull’export italiano, che riguarda da vicino le aziende nel manifatturiero del Nord Est ed è ricorrente nella retorica politica della Lega di Matteo Salvini. Il segretario nel 2017 ha stretto un accordo di collaborazione con il partito di Putin Russia Unita e questo autunno si è recato a Mosca con il presidente dell’assciazione Lombardia-Russia Gianluca Savoini per condannare le sanzioni Ue di fronte a una folta platea di imprenditori italiani. Esiste, alla prova dei fatti, un effetto boomerang sull’export italiano?

La risposta dell’Ispi è un inequivocabile sì: “Tra 2013 e 2016, le esportazioni italiane verso la Russia si sono praticamente dimezzate, passando da 14,3 miliardi di dollari nel 2013 a 7,4 miliardi nel 2016, per poi risalire a poco meno di 9 miliardi nel 2017”. Di questi, 2 miliardi sono volati via dai produttori di macchinari, e accanto a questi “appaiono altri settori di punta dell’export italiano, come l’abbigliamento, il calzaturiero e il settore dei mobili”. I numeri, però, vanno contestualizzati: se è innegabile il dimezzamento dell’export dall’apposizione delle sanzioni, è altrettanto vero che “tale calo è stato relativamente poco significativo rispetto al totale delle esportazioni italiane all’estero, pesando nel 2017 per circa l’1% del totale”.

Il report prospetta due soluzioni per arginare gli effetti (limitati) delle sanzioni russe contro gli esportatori nostrani. La prima consiste nell’aggiramento delle misure. Esperti legali sentiti dai ricercatori aprono a due vie: la creazione di una joint venture con aziende russe o la fondazione di una società di diritto russo con stabilimenti nella madrepatria. Circumnavigare le sanzioni attraverso il re-routing in Paesi terzi, invece, costituisce un reato sia per la normativa Ue che per la legislazione russa. La seconda soluzione, più drastica, è squisitamente politica: bloccare le sanzioni con il veto al Consiglio Europeo. Una scelta che “comprometterebbe la credibilità della politica estera europea a livello internazionale” e, in aggiunta, “rischierebbe di isolare l’Italia in UE”, vanificando qualsiasi trattativa su altri fronti, come la gestione dell’immigrazione.

IL CASO EUROPEO

Non dissimili al caso italiano le conclusioni cui giungono gli studiosi dell’Ispi in merito agli effetti delle controsanzioni russe sull’intera economia europea. Tangibili, ma non catastrofici, considerato che “il peso russo per le esportazioni Ue equivale solo al 2,6% del totale”. Come precisa il report, è d’altronde difficile elaborare una stima esatta degli effetti depurandoli da altri fattori congiunturali che hanno colpito l’export, è il caso delle politiche di austerity firmate Ue e del calo dei prezzi di petrolio e gas naturale che fra il 2014 e il 2015 ha fatto crollare il potere d’acquisto russo. Un esame comparato con gli Stati Uniti, che nel frattempo hanno visto crescere l’interscambio con l’Ue, porta gli esperti a concludere che un effetto-sanzioni c’è stato, e ha pesato sull’export europeo per circa 50 miliardi di dollari. Numeri che, ancora una volta, devono essere relativizzati: “equivalgono infatti solo allo 0,9% delle esportazioni totali dell’Ue verso il mondo nel 2017”.

Più desolante il quadro delineato dal fact checking circa l’impatto delle sanzioni economiche europee sull’economia russa. Anche in questo caso i numeri aggregati possono ingannare. L’innegabile calo delle esportazioni russe verso i Paesi Ue che ha perseverato in questi cinque anni ha infatti poco a che vedere con le restrizioni del Consiglio Europeo. Dipende, piuttosto, dall’aumento del prezzo dei combustibili fossili (che coprono circa i 2/3 dell’intero export russo) iniziato nel 2014. Il grafico dell’Ispi dimostra infatti una corrispondenza pressocché totale fra calo dell’export aggregato e calo dell’export energetico. Il resto delle esportazioni, salvo una contrazione nel 2015, ha invece registrato un balzo in avanti del 20% nel 2016 e gode ancora di buona salute. C’è infine un esito paradossale delle sanzioni europee avviate nel 2014.

La dipendenza energetica dei Paesi Ue da Mosca, diminuita costantemente grazie alle politiche di diversificazione messe in campo dal 1990, è drasticamente aumentata proprio a partire dalla crisi ucraina. “Se ancora nel 2014 la quota di importazioni da Mosca sul totale importato dai Paesi UE (30%) era ancora vicina al minimo storico – scrivono i ricercatori – nel 2018 siamo invece tornati ai valori massimi da vent’anni (41%)”. Un paradosso che lo stesso presidente americano Donald Trump aveva evidenziato durante il vertice Nato la scorsa estate, sollevando dubbi sulle trattative fra Germania e Russia per il gasdotto North Stream 2.

MOSCA GUARDA A PECHINO?

Un ultimo rilievo del report Ispi a metà fra economia e politica riguarda una vulgata che ha avuto un certo successo in questi anni: le sanzioni Ue avvicinano davvero la Russia di Putin alla Cina di Xi Jinping? Sì, dal 2014 c’è stata “una lieve accelerazione” dell’interscambio fra russi e cinesi. Ma, aggiungono subito gli autori, questo “rimane secondario rispetto all’interscambio con l’Ue”. Il confrontoparla chiaro: nel 2017 il flusso di merci e servizi con i cinesi ammontava al 13% del Pil russo, a cospetto del 38% con l’Ue. Un dato, quest’ultimo, non lontano da quello che lega l’interscambio fra Regno Unito e Ue (44%). L’apertura delle rotte commerciali artiche, e il progetto di diversificazione energetica russa “Power of Siberia”, non porteranno l’interscambio fra Russia e Cina oltre il 15% nel 2024.

GLI EFFETTI POLITICI

Come valutare, infine, i risultati politici raggiunti dalle sanzioni Ue? Il giudizio del fact-checking Ispi è piuttosto scettico. Sono i dati Osce a dirlo: il rispetto degli accordi di Minsk, obiettivo ultimo delle misure europee contro Mosca, esiste solo sulla carta. Continue le violazioni del cessate-il-fuoco. Solo nel 2018, rivela la missione Osce, fra i civili ci sono stati 43 morti e 182 feriti. Mosca e Kiev continuano nel ping-pong di responsabilità: “Russia e Ucraina si accusano vicendevolmente per il mancato rispetto degli accordi; mentre l’Ucraina dà più importanza alle misure di sicurezza (cessate il fuoco incondizionato), la Russia insiste sull’attuazione delle misure politiche dell’accordo (decentralizzazione, elezioni locali e garanzie di amnistia per i combattenti pro-russi”. Un effetto non solo simbolico però esiste: “numerosi esperti concorrono nell’ipotizzare che le sanzioni attuali e la minaccia di nuove sanzioni servano da deterrente per la Russia ad adottare una posizione più cauta in Ucraina”. A questo si aggiunge il messaggio di compattezza che il voto unanime in seno al Consiglio Europeo invia agli alleati atlantici e al Cremlino.

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