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Legge 194, chi è a favore e chi contro l’adozione del concepito

demografico

Nel mezzo delle polemiche intorno al Forum della famiglia in corso a Verona, nel quale si discute anche di aborto e tutela della vita, torna all’attenzione una proposta di legge di un gruppo di deputati della Lega (primo firmatario Stefani), con la quale si prevede che la donna possa fare ricorso alla procedura di adozione del concepito.

Tale adozione sarebbe inquadrata tra le misure alternative all’interruzione volontaria della gravidanza e prevederebbe comunque la facoltà della madre di cambiare idea, fino al momento della nascita del bambino e nei sette giorni successivi.

Rispetto alla situazione attuale, nella quale è previsto che la madre possa partorire in anonimato, affidando il neonato alle strutture pubbliche ai fini dell’adozione, si anticiperebbe la scelta dell’adottabilità al momento iniziale della gravidanza, con implicazioni giuridiche, politiche e morali.

Contro la proposta si sono levate le proteste di quanti ritengono che rappresenti un attacco oscurantista alla legge 194, un attentato ai diritti delle donne, un obbrobrio giuridico, uno strumento per favorire l’utero in affitto, un espediente per riconoscere la capacità giuridica del concepito e contrastare il diritto di abortire.

Il primo firmatario della proposta, il leghista Alberto Stefani, ha replicato che nessuno vuole mettere in discussione la legge 194 e che la donna resta sempre libera di scegliere cosa fare, avendo però un’alternativa all’interruzione della gravidanza, con ricadute potenzialmente utili per la madre, il nascituro e la società.

Vediamo di fare chiarezza, nella consapevolezza della difficoltà di trattare una materia sulla quale si aprono divisioni profonde nelle menti e nei cuori, che ostacolano una riflessione equilibrata.

A un’attenta lettura, la proposta sull’adottabilità del concepito non limita il diritto di abortire delle donne, non modifica la regolamentazione della legge 194, lascia la donna libera di decidere e anche di ripensarci. Sulla carta, non ci sono elementi per configurare una controriforma oscurantista.

Alcuni temono tuttavia che si possa rimettere in discussione la legge 194, considerata un simbolo intoccabile dei diritti delle donne. La preoccupazione non ha riscontri nella proposta di legge, saldamente ancorata alla 194, ma esprime il timore che si possa riaprire un dibattito sull’aborto, con il rischio di rimettere in discussione, negli animi e in Parlamento, conquiste fondamentali delle donne.

Altri temono che, attraverso tale proposta, si voglia riconoscere la capacità giuridica del concepito e, per questa via, contrastare il diritto di abortire. In realtà, l’adottabilità del concepito non cambia l’attuale situazione: la capacità giuridica si acquista al momento della nascita, benché la legge già riconosca al concepito alcune posizioni giuridiche (in particolare successorie), subordinate alla sua venuta alla luce; l’adottabilità del nascituro comporterebbe la nascita di nuove prerogative del concepito, ma non inciderebbe sulla capacità giuridica.

Altri ancora denunciano il rischio che si possa aprire un mercato degli uteri in affitto. In verità, l’adottabilità del concepito resta estranea alla tematica: tale pratica, vietata in Italia, comporta che una donna si impegni a sostenere una gravidanza per conto di specifiche persone, di norma donatori di ovuli o spermatozoi (salvo i casi di mera gravidanza su commissione); mentre nel caso dell’adottabilità del concepito, la procedura esclude un previo rapporto tra madre e soggetti che adottano il concepito e rimette al giudice la decisione sull’individuazione di tali soggetti. Dovrebbe quindi escludersi il rischio di un mercato degli uteri in affitto.

Sul fronte opposto, i sostenitori della proposta fanno presente che l’adozione del concepito può costituire una valida alternativa all’interruzione della gravidanza, tutelando la vita del nascituro, realizzando la speranza dei genitori in attesa di adozione, limitando il numero di aborti, contribuendo a contrastare la crisi demografica.

E rilevano come la possibilità di attivare la procedura di adozione del nascituro abbia una grande valenza psicologica, perché interviene in una fase delicatissima della gestazione, consentendo alla donna di valutare, in quel momento, un’alternativa all’aborto.

Tali posizioni toccano questioni delicate: la tutela del nascituro è considerata da molti un valore, da molti altri è vista come tentativo di riconoscere un “diritto alla vita” ritenuto incompatibile con il diritto ad abortire; per alcuni è desiderabile diminuire il numero di aborti, per altri non costituisce un valore, a fronte del preminente interesse della donna a una libera scelta sull’interruzione della gravidanza; certuni ritengono positivo contrastare la decrescita demografica attraverso un contenimento degli aborti, altri la considerano un’opzione inaccettabile, che non tiene conto del primario diritto della donna a interrompere la gravidanza e della possibilità di fronteggiare il calo demografico con l’arrivo dei migranti.

Ancora una volta si assiste a uno scontro tra fazioni contrapposte, nel quale si perdono i riferimenti concreti e ci si ritrova schierati sotto l’una o l’altra bandiera, con scarse possibilità di ragionare e dialogare.

Appare comunque corretto osservare che l’adottabilità del concepito non toglierebbe diritti alle donne ma offrirebbe un’opportunità in più, che potrebbe essere utilizzata o trascurata; anche se, va riconosciuto, andrebbe a riaprire una tematica complessa e divisiva sul valore della vita intrauterina.

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