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Baghouz in Siria come Rio Bo. L’intrigo globale che avvicina a padre Dall’Oglio

dall'oglio

Forse è Aldo Palazzeschi l’autore che può aiutarci a entrare nell’intrigo globale che si svolge intorno a Baghouz. Se ne parla da settembre, quando qui si cominciò a dire che proprio a Baghouz si sarebbero asserragliati i resti dell’Isis. Baghouz non avrà i tetti aguzzi come la Rio Bo di Aldo Palazzeschi, ma “di tre casettine” deve essersi trattato, tre casettine nel deserto siriano, dimenticato da tutti, vicino all’Eufrate e al confine iracheno. Se ne cominciò a parlare perché lì poteva esserci al Baghdadi, fuggiasco. Lì sarebbero giunte squadre speciali americane per catturarlo. C’è anche chi ha descritto l’ingresso degli agenti a stelle e strisce scortati fino al confine dagli iracheni, poi consegnati ai curdi.

In questa Rio Bo, con tre casettine, si sarebbero nascosti anche i suoi, ovviamente, e sempre lì alcuni avrebbero tentato un golpe per eliminarlo e chiudere la partita con gli intransigenti, quelli che volevano seguitare a combattere. I golpisti però sarebbero stati sconfitti, e la loro storia è finita nel dimenticatoio: morti? Fuggiti? E lui? C’è chi dice che sarebbe fuggito, strano, visto che Baghouz, la Rio Bo dell’ultimo assedio all’Isis è sotto assedio. O è stata lasciata una via di fuga possibile? Questo alcuni lo affermano, altri lo negano: chissà.

La storia prosegue, entra in scena il tesoro dell’Isis. C’è chi racconta di aver visto elicotteri americani andare a prendere tonnellate d’oro, lingotti su lingotti. Sempre nel deserto, sempre indirizzandosi verso tre casettine senza tetti aguzzi. Poi i capi militari dell’Sdf, le forze democratiche siriane in linea di massima curde con qualche arabo di complemento, cominciano a stringere il cerchio, l’attacco è imminente. Ma si tratta. E così da Baghouz a febbraio cominciano a uscire migliaia di civili, migliaia di prigionieri, migliaia di feriti, migliaia di bambini, migliaia di familiari di jihadisti dell’Isis. È un fiume di migliaia di negletti, disperati, che escono dal non luogo di Baghouz. 10mila? 20mila? Di più? E dove stavano? Come mangiavano? Di cosa si nutrivano? Come si lavavano? Cosa bevevano? Chissà…

Uno di loro arriva esausto, sfinito, malato, in ospedale: sente il bisogno di parlare, raccontare; e dice: gli ostaggi a Baghouz sono migliaia, e c’è una prigione speciale per stranieri. Non fa nomi, ma deve dirlo, dal suo letto di miracolato, un prigioniero fintosi civile e salvatosi, deve dire al mondo, tramite chi può ascoltarlo, chi vuole ascoltarlo, la sua verità. Intanto cosa succede? Si decide di liberare tutti i civili, tutti i feriti, tutti i parenti dell’Isis. Altre migliaia di persone. Sempre da lì, da quelle tre casettine ormai distrutte di Baghouz.

C’è chi dice che ormai i negoziati sono finiti, si attacca. E gli ostaggi? Contrordine; si continua a trattare. Ci sono ancora civili, ostaggi, dicono i comandi curdi. E quando avevano deciso di attaccare non si sapeva? E quelle voci di uso di fosforo bianco? Menzogne? Guerra psicologica? Da allora altre code di persone che escono, civili sfiniti, altri familiari dell’Isis che questa volta inneggiano ad al-Baghdadi. Già, al Baghdadi, di lui non si parla più… Dove è finito il sedicente califfo?

Il quadro è sempre più confuso e i giornali arabi scrivono che una di queste notti tre pezzi grossi dell’Isis sarebbero usciti da Baghouz; per andare dove? Visti da chi? Come dirlo, come negarlo? Domande impossibili. Ma è ovvio collegare questo numero di capi, tre, ai tre ostaggi stranieri che avrebbero: il giornalista britannico Cantlie, la crocerossina neozelandese di cui tutti parlano ma nessuno sa il nome, il prete italiano Paolo Dall’Oglio. I curdi negano dal 7 febbraio, quando se ne parlò, che siano lì, ma poi, pochi giorni fa, hanno detto che nessuno può dire se ci siano o no, se siano vivi o no, ma loro continuano a cercarli. E perché cercarli se non ci sono? Perché forse è vero che sono lì?

Poi arriva un nome vero, credibile, Micalizzi, il fotoreporter italiano ferito nei pressi di Baghouz, a Deir ez-Zoor. Ha rischiato di perdere un occhio, ora è in Italia e dice che i fuggitivi senza scarpe, nel deserto, gli occhi sbarrati, dicevano “a Baghouz c’è un prete italiano, vivo”. Ogni storia mediorientale ha tratti orribili e tratti commoventi: ecco la commozione, le lacrime. Gente che cerca di convincersi di essere in vita, che cerca i propri cari, i capelli come la stoppa, vuole fermarsi per dire di un prete straniero, italiano, che sa essere lì. Perché? Perché siamo tutti esseri umani, tutti fratelli e quel fratello che probabilmente non sanno neanche come si chiami lo sentono più fratello, perché il suo dramma li ha colpiti di più, per empatia con lo straniero, il lontano, il … fratello.

Intanto i commenti proseguono: ma i capi dell’Isis possono davvero trattare qualcosa? Possono salvarsi con degli scudi umani? Sarebbe possibile accettare? Domanda efficace, non fosse che tutti sappiamo che dalla caduta di Raqqa ce n’è uno che sta a casa sua a Raqqa, sorvegliato probabilmente. Lui ha un nome e un cognome, Abdul Rahman al Faysal Abu Faysal: è a casa, in salotto. Qualcuno lo ha interrogato? Così torniamo a Rio Bo, a Palazzeschi e ai possibili ostaggi: anche a Baghouz c’è una magnifica stella, che a un dipresso occhieggia?

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