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Calenda vs Bannon, il match (fiacco) sull’Europa finisce ai punti

Destra e sinistra c’entrano poco, per entrambi sono categorie superate. Steve Bannon e Carlo Calenda non sono “di destra” e “di sinistra”. Sono, a modo loro, due outsider. Per questo il match di boxe organizzato da Comin & Partners nella sede di piazza Santi Apostoli questo lunedì ha promesso agli spettatori uno spettacolo non da poco. Europa delle Nazioni vs sogno europeo, sovranismo vs multilateralismo, protezionismo vs libero commercio. C’è un solco profondo come un burrone a dividere l’ex capo stratega di Donald Trump dall’ex ministro dello Sviluppo Economico e fondatore della piattaforma SiamoEuropei. A far da arbitro la direttrice dell’Huffington Post Lucia Annunziata. La veste di moderatrice le si addice poco, non perde occasione di punzecchiare i duellanti, con una predilezione per il suo amico Calenda. “Sai che ti dico, ha ragione Bannon, Davos è un posto che fa schifo” sbotta la conduttrice di In Mezz’Ora toccando un pallino del guru sovranista, “la tua parte politica, Carlo, cosa ha fatto per intercettare queste istanze?”. “Sei la moderatrice, o vuoi partecipare?” le ribatte stizzito il fu ministro.

“Non mi fa paura Salvini e di certo non mi fa paura Bannon” esordisce di fronte ai cronisti Calenda prima di prender la parola. Su twitter la sua partecipazione a un dibattito con l’animatore di The Movement ha fatto discutere, n0n poco. Bisogna parlare con tutti, non si scappa dal confronto, ha risposto lui. Chapeau. Un piccolo cenno alle vicende (non felicissime) del “suo” Pd, “Sì, Zingaretti è adatto per sconfiggere il sovranismo”, poi il pensiero vola lontano, alle vicende internazionali. In Cina, ad esempio. Il Dragone occupa più di metà del botta e risposta. È un cavallo di battaglia di Bannon, che sullo spauracchio giallo ha costruito (con successo) la campagna elettorale di Trump. I due sfidanti deludono chi si aspettava botte da orbi. Sull’espansionismo dell’ex Celeste Impero la pensano praticamente uguale. “Sono stato da poco in Giappone ospite del primo ministro Shinzo Abe, ho spiegato la guerra economica della Cina, una violenta dittatura” spiega Bannon, non senza lanciare una frecciatina ai Cinque Stelle, che man mano hanno perso la sua simpatia: “Di Maio ha detto che avrebbe posto 100 domande a Xi Jinping, avrebbe dovuto fargliene 1000”.

Calenda si smarca subito: “In Europa mi sono battuto per non riconoscere lo status di economia di mercato alla Cina”. Gli accordi coi cinesi van pure bene, dice lui, “ne abbiamo firmati di ben più importanti”. È la Via della Seta il nodo che non va giù, quello è “un progetto egemonico”. “Come si fa a contrastare la Cina se al tempo stesso si lavora per un’Europa delle nazioni, divisa, debole” è la provocazione di Calenda. Bannon recita a memoria un copione stranoto. Riassunto: le élites finanziarie globali hanno steso tappeti rossi per anni ai cinesi incoronando Xi alfiere della globalizzazione, e ora gli aprono pure i portoni di casa, dimenticando che è un dittatore sanguinario. Amen, i gialloverdi hanno già deciso, quel che doveva essere firmato è stato firmato. “Non ho parlato con Salvini, ma ho avvisato alcuni leghisti dei rischi” dice Bannon, facendo trasparire l’imbarazzo di chi qualche mese fa aveva le chiavi di casa del Carroccio e ora si ritrova ospite indesiderato del “Capitano”.

L’incontro, fiacco, riscopre un attimo di vivacità quando si lascia la Cina per parlare di Europa. Qui Bannon ha piazzato la sua tenda per dare il via alla campagna sovranista per le europee. Del suo “Movement”, la piattaforma costruita insieme all’avvocato belga Michael Modrikamen che doveva aiutare il blocco euroscettico a diffondere i suoi messaggi nel Vecchio Continente, non se ne sa più nulla. “Mancano i soldi” ci dicono persone informate. Poco importa, Bannon continua il suo tour facendo base in Italia, “il laboratorio mondiale del sovranismo” come ama definirla lui.

Decisamente più in salute la piattaforma di Calenda, SiamoEuropei, anche se ancora non è chiaro se si trasformerà in una lista unica per il voto di maggio, né se a capo di questa lista ci si metterà l’ex ministro in persona. “La decrescita italiana è iniziata molto prima dell’ingresso dell’euro” incalza il dem. Altro che golpe europeo, nel 2011 “l’Ue ci ha salvato con il quantitative easing della Bce, nessuno comprava più il nostro debito” è la ricostruzione calendiana. Bannon risponde distratto, discorre di un’Europa delle nazioni, spiega che “nessun leader sovranista vuole uscirne”. E forse al touchdown regala la vittoria a Calenda, ai punti. Dopo due ore, l’incontro si chiude senza infamia e senza lode. Entrambe le narrazioni, quella eurolirica e (solo a tratti) del mea culpa tardivo, e quella trita e ritrita della distruzione e del riscatto dei popoli, suonano già come vecchie. Se la campagna per le europee non offrirà altre vie d’uscita, non sarà da biasimare chi sceglierà di starsene a casa.

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