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Di Maio, Casaleggio (junior) e la (giusta) grisaglia del potere

Punto primo: finiti tutti i ragionamenti (più o meno sensati) sui programmi e la loro attuazione, restano le emozioni, quelle scatenate “a pelle”.
I comportamenti elettorali infatti sono spesso determinati da sensazioni che poco hanno a che fare con la concretezza, anche perché, in fondo, siamo tutti immersi in un gigantesco villaggio globale che vive nella bolla delle impressioni (digitali in primo luogo).

Punto secondo: nei dati Swg di ieri per la prima volta dalle elezioni del 2018 il Pd supera (di un microscopico 0,1 %) il M5S, segnando però un spartiacque “psicologico” della legislatura.

Ecco allora la domanda che “sorge spontanea” (direbbe quel gigante della TV e del giornalismo che è Antonio Lubrano): c’è una connessione tra i punti uno e due? E, in caso affermativo, quale?

Una connessione c’è ed è tutta spiegabile nel passaggio di testimone dall’era Grillo-Casaleggio (padre) a quella Di Maio-Casaleggio (figlio).

Già perché qui non siamo semplicemente al trasferimento di responsabilità, con l’aggiunta dolorosa della prematura scomparsa di Gianroberto Casaleggio (che, comunque la si pensi, resta un innovatore assoluto nella sfera politica italiana).

Siamo di fronte ad un fenomeno assai più complesso, cui vale la pena dedicare qualche momento di attenzione.
Cos’erano, in fondo, Grillo e Casaleggio senior?

Erano due moderni e complementari contestatori del sistema, capaci di recitare in perfetta simbiosi due parti in commedia: quella del leone da palcoscenico che irride i potenti (rendendoli meschini, mettendoli alla pubblica gogna e facendo così intravedere che un altro mondo è possibile) e quella del sognatore digitale, un po’ ingegnere e un po’ profeta, capace di parlarti di un futuro straordinario ed anche inquietante, ma comunque intrigante e, perché no, assai misterioso.

Un uomo “tutto pubblico” come Grillo dunque, che interpreta ogni atto della sua vita come un momento da palcoscenico perché quella è la sua cifra esistenziale e un uomo prevalentemente privato come Casaleggio senior, poco avvezzo ai media e certamente non a suo agio di fronte alle folle.

In comune però avevano non solo l’avversione al “potere costituito” ma anche il modo di proporsi, che era comunque non convenzionale.

Grillo vestito come gli artisti, quindi al di sopra di ogni regola e Casaleggio, pur in giacca e cravatta, del tutto “alternativo”, mai assimilabile ai potenti ( del business e della politica).
Ebbene cosa è successo nel passaggio di consegne alla coppia Di Maio-Casaleggio junior?

È successo (complice la vittoria alle elezioni e la conseguente conquista del governo) che i nuovi due leader sono perfettamente inseriti nella “iconografia” del potere, come dimostra il loro modo di vestire.
Amano i completi scuri (blu o grigi), sono composti, ragionevoli: tutto sommato “ministeriali”.
La scelta consapevolmente, volutamente e ripetutamente “borghese” del modo di vestire di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio fa di loro una perfetta rappresentazione del nuovo establishment, nuovo ma (proprio per questo), desideroso di legittimazione dentro e fuori i confini nazionali.

Il punto però è che Grillo e Casaleggio senior hanno promesso la rivoluzione, mente Di Maio e Casaleggio junior tentano (operazione difficilissima in Italia) di fare qualche riforma.
E ci stanno provando con la grisaglia d’ordinanza, elemento distintivo delle élite (avversarie del popolo, nella versione da campagna elettorale).

Ma quella grisaglia, cari Di Maio e Casaleggio junior, serve eccome per governare.
Tanto vale farsene una ragione.

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