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Avviso ai naviganti: a Bratislava non ha vinto Juncker

Bisognerebbe smetterla di leggere la realtà con occhi (troppo) condizionati dalle proprie idee, perché quello è il campo delle opinioni più che della analisi.

Sta succedendo anche in queste ore dopo il voto per le presidenziali in Slovacchia, voto che porta Zuzana Caputova al vertice istituzionale del suo paese.

Questo voto infatti è ben altra cosa da quello che alcuni provano a descrivere, nel senso che non è affatto la rivincita progressista ed europea contro le brutture dei populisti di destra.

Ma andiamo con ordine, perché le vicende slovacche non sono di semplicissima lettura.

Punto primo: il Paese è scosso da un anno a questa parte da una crisi fortissima di credibilità della sua classe politica, pesantemente indiziata di scarsa trasparenza e frequentazioni poco raccomandabili. Tragico riscontro di tutto ciò arriva con il barbaro assassinio del giornalista d’inchiesta Jan Kuciak e della sua compagna (febbraio 2018) con conseguente crisi di governo e dimissioni del vero uomo forte slovacco, cioè quel Robert Fico, primo ministro quasi ininterrottamente dal 2006 all’anno scorso, che ha fatto il bello e il cattivo tempo negli ultimi tre lustri (da ricordare che il suo movimento SMER, aderisce al Partito del Socialismo Europeo).

Punto secondo: il candidato più “europeo” di tutti è finito pesantemente sconfitto al ballottaggio (dopo aver preso un modesto 18 % al primo turno), cioè quel Maros Sefcovic commissario Ue in carica (è in quel posto da dieci anni, avendo iniziato con Barroso nel 2009) e prima ancora ambasciatore slovacco a Bruxelles. Insomma l’autorevole rappresentante dei mandarini UE esce duramente bastonato dal confronto con la giovane avvocata in politica da meno di due anni, nonché prima donna della storia del suo Paese ad arrivare alla più alta carica dello Stato.

Punto terzo: la destra si è presentata alle urne con due volti di scarsissimo appeal (e per giunta tutt’altro che nuovi). Stefan Harabin infatti è anch’egli un pezzo forte del sistema di potere nazionale, essendo stato alla guida della Corte Suprema dal 2009 al 2014 e prima ancora ministro della Giustizia per tre anni. Marian Kotleba (il candidato più a destra di tutti, spesso protagonista di iniziative estreme e xenofobe) è, tutto sommato, un “vecchio arnese” della politica slovacca. Ha ben sedici anni il movimento da lui fondato, quel Slovenská pospolitosť – Národná strana che venne anche dichiarato fuorilegge (ma poi riammesso dalla Corte Suprema) e comunque ha già alle spalle cinque anni da Governatore della regione Banska Bystrica (2013-2017).

Ecco allora venire alla luce la vera “piattaforma” di consenso della Caputova, tutta spiegabile intorno alla parola magica di questo momento storico di estrema volubilità dei comportamenti elettorali: novità.

La Caputova vince perché è brava, perché ha condotto una esemplare e coraggiosa campagna elettorale ma, soprattutto, perché è la proposta meno usurata che gli elettori slovacchi hanno trovato nella scheda, pur essendo fortissimo il senso di disgusto presente nell’opinione pubblica, testimoniato dalla modesto 41 % di affluenza ai seggi per il voto di ballottaggio.

Allora, per non farla troppo lunga, proviamo a riassumere.

È vero che Caputova vince con un saldo intendimento di restare nell’Unione Europea (elemento che personalmente considero apprezzabile, così come lo è l’intero profilo del nuovo Presidente slovacco).

Ma da qui a dire che a Bratislava ha vinto Juncker c’è una bella differenza.

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