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Reddito di cittadinanza. L’occasione perduta

Il primo giorno di “attuazione” del reddito di cittadinanza è stato caratterizzato da una confusione inferiore del previsto, sia agli uffici postali sia ai centri di assistenza fiscale, i principali luoghi dove avere la documentazione ed ottenere delucidazioni per presentare la domanda ed essere aiutati a compilarla. Infatti, sono relativamente pochi coloro che cercano di fare la domanda on line perché data la loro indigenza o non posseggono un computer o non hanno la necessaria alfabetizzazione informatica.

La confusione è comunque aggravata dal fatto che la conversione in legge del pertinente emendamento è ancora in corso e che le Camere stanno emendando le misure decretate dal governo. Un antico proverbio romano afferma che la gatta frettolosa fa i figli ciechi. Il reddito di cittadinanza è una bandiera del M5S il quale, dopo severe sconfitte elettorali, ed è determinato che i primi frutti della misura, in termini di esborsi di cassa (ed arrivo nelle tasche degli italiani) possano avvertirsi prima delle elezioni europee di maggio (tanto più che i sondaggi danno il Movimento in caduta a picco). Quindi, si sta procedendo a quella “alta velocità” contro la quale lo stesso M5S sta combattendo in materia di trasporti europei.

A questo punto, è difficile dire se il modo in cui sta iniziando l’attuazione del reddito di cittadinanza avrà gli effetti elettorali auspicati dal M5S o se si farà un buco nell’acqua. Una cosa sembra certa: in un’Italia in cui il numero di poveri è aumentato rapidamente nell’ultimo decennio, era necessario migliorare gli strumenti di assistenza e forse sarebbe bastato fare crescere gli stanziamenti per il reddito d’inclusione sociale. Un’altra cosa non sembra ma è certa: il M5S ha rinunciato ad uno dei suoi principali obiettivi programmatici (al fine di accorciare i tempi del rdc), quello della trasparenza ed ha perso, quindi, un’ottima occasione per mostrare, con azioni concrete, quanto promesso ai propri elettori.

Cosa meglio del reddito di cittadinanza per portare trasparenza nell’opaca distinzione, nonostante una legge che risale al 1989, tra spese assistenziali e spese previdenziali. Lo sottolineano da anni le analisi certosine dei bilanci Inps fatta dal centro studi itinerari previdenziali, guidato dall’ex sottosegretario leghista Alberto Brambilla.

Il primo dato errato, oltre che opaco, riguarda il rapporto tra spesa previdenziale e Pil: non il 18% rispetto ad una media europea inferiore al 15%. Il rapporto è molto più basso se – come sarebbe appropriato – si deducessero le spese assistenziali dal totale e le imposte pagate dai pensionati sulle loro annualità (in molti Paesi che adottano il sistema contributivo come quello italiano o le pensioni sono esenti da imposte o vengono pagate sulla parte dell’annualità previdenziale che eccede i contributi versati, per evitare doppia imposizione sulle stesse poste contabili). Se si eliminano le spese per assistenza, nei consuntivi per il 2017, la spesa “previdenziale” vera e propria diminuisce da 225 miliardi di euro a circa 150 miliardi di euro, quindi a meno del 12% del Pil, una delle più basse, in termini di incidenza, dei Paesi industrializzati ad economia di mercato. Nel 2017, i contributi dei “futuri pensionati” sono stati 197 miliardi, ossia con un saldo attivo netto significativo, 47 miliardi. Inoltre, su 16,1 milioni di pensionati oltre il 51% sono totalmente o parzialmente assistiti dalla fiscalità generale, cioè da tutti i contribuenti, ben 8,2 milioni sono assistiti totalmente (oltre 4 milioni) o parzialmente (altri 4) tramite pensioni sociali, assegni sociali, invalidità, accompagnamento, pensioni di guerra (1,5 miliardi dopo oltre 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale), maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, 14esima mensilità, social card e dal reddito d’inclusione sociale. Coloro che pagano 50 miliardi di imposte sono quelli che, da lavoratori attivi, più hanno contribuito alle entrate dello Stato e delle autonomie locali. Quindi, le vere e proprie campagne contro “i pensionati d’oro o d’argento” non solo non hanno base ma le misure varate nella legge di Bilancio produrranno un danno all’erario, mentre l’assistenza ai poveri è aggravata da una grande confusione.

Il reddito di cittadinanza sarebbe stata un’ottima occasione per rimettere ordine. Si sarebbe potuto o creare un istituto dedicato appositamente all’assistenza (e sgravare l’Inps da queste funzioni) e, forse anche meglio, potenziare i comuni per il miglior disbrigo dei loro compiti in materia di assistenza. In effetti, in un’ottica di vera sussidiarietà, i comuni sono i più prossimi alle collettività e sanno meglio individuare i veri poveri e supplire alle loro esigenze.

È arduo che un’occasione come questa si ripresenti. Parte degli elettori del M5S ne chiederà conto al Movimento. Dicono i sondaggi.

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