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Che succede da domani in Siria con i curdi (nemici di Erdogan) che sconfiggono l’Is?

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Le forze curde appoggiate dagli Stati Uniti hanno bloccato l’ultimo avamposto in Siria dell’Isis, segnando la fine di una campagna quasi quinquennale. Che cosa accadrà da domani in Siria con i curdi (nemici di Erdogan) che sconfiggono l’Is? E soprattutto quale sarà il perimetro di azione turco dopo la mossa americana del dicembre scorso a cui, oggi, fa seguito comunque una presenza di truppe in loco?

QUI SIRIA

Il nodo è evidentemente il dopo azione curda. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che aspirava ad un ruolo nella macroregione, non potrà certo esultare per l’azione dei curdi che possono invece intestarsi questa vittoria. Proprio in queste ore le forze democratiche siriane a guida curda hanno annunciato la fine del proto-stato che il gruppo estremista arabo sunnita aveva dichiarato in gran parte della Siria e del vicino Iraq nel 2014. I curdi sono rimasti fuori dalla guerra civile siriana, concentrandosi invece nel rafforzare le proprie istituzioni in un terzo del paese sotto il loro controllo.

Se dopo l’annuncio del “tutti a casa” del dicembre scorso da parte di Donald Trump c’è stata una mini sollevazione, adesso l’amministrazione a stelle e strisce dice che circa 200 membri del servizio rimarranno nel nord-est della Siria vicino al confine con la Turchia e altri 200 circa vicino al confine con l’Iraq. Scopo delle truppe è proteggere gli alleati curdi dalle minacce di Ankara.

Tutti i duemila militari americani in Siria è stato deciso che sarebbero rientrati dopo la sconfitta del califfato, decisione che portò come è noto alle roboanti dimissioni del segretario alla Difesa Jim Mattis, oltre che ad una forte opposizione trasversale al Congresso e ad una decisione parallela di Francia e Gran Bretagna.

IL NODO

Oggi il quadro è diverso: vicino al confine con la Turchia e vicino a quello con l’Iraq in una guarnigione chiamata al-Tanf, i militari Usa continuano a presenziare il territorio, così come annunciato anche da Parigi e Londra. Ma non solo per monitorare l’azione complessiva legata all’antiterrorismo, bensì per valutare il futuro degli alleati curdi.

Ma perché i turchi attaccano i curdi? Secondo il presidente ceco Milos Zeman perché sono di fatto “alleati dell’Isis”, come ha detto ufficialmente commentando le operazioni militari della Turchia contro le milizie curde in Siria. “Questo non è più lo stato laico di Ataturk – ha aggiunto – ma uno stato che professa l’ideologia islamica, e logicamente lo stato turco è vicino ai radicali islamici e attacca i curdi”.

Ankara ha reagito definendo le dichiarazioni “diffamatorie e false” ma di fatto accendendo un fascio di luce su uno degli elementi più dibattuti dall’inizio della guerra siriana ad oggi.

La Turchia vede le Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) in Siria come un’estensione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) che per Erdogan è fuorilegge, mentre l’Ypg nei fatti ha svolto un ruolo primario in Siria, consentendo alle forze della coalizione guidate dagli Stati Uniti di vincere molti scontri contro il Califfato.

SCENARI

In questo contesto Erdogan ha più volte dichiarato che il suo paese istituirebbe la “zona di sicurezza”, passaggio temuto dai curdi che vedrebbero in quella mossa (se certificata anche esternamente) una minacca reale e militare, per questo chiedono invece l’intervendo di una forza internazionale di osservatori che agisca soprattutto in ottica di ombrello protettivo. In proposito non va dimenticato che la maggior parte delle città curde sono proprio al cofine, come Darbasiya, Qamishli, Dehik, Derbassiye, Kobane e Tal Abyad.

Sono in molti a sostenere, a questo punto, che la Turchia attenda il nulla osta di Mosca per qualsiasi mossa post operazione dei curdi. Avendo la Russia una forte influenza su Erdogan, per via di una serie di ragioni come anche la nuovissima centrale nucleare che Roscom sa costruendo in Turchia, è chiaro che l’intenzione di Assad di voler tornare anche nella Siria nord-orientale ricca di petrolio passerà evidentemente da un accordo con Mosca (via Ankara).

E il presidente Erdogan, dopo l’anno finanziario difficile che ha trascorso per via dei ripetuti crolli della lira turca, vedrebbe di buon occhio la ricostruzione siriana, pesandola come un’occasione irripetibile per le imprese turche. Ecco perché Ankara, ancora di più, potrebbe puntare ad un atteggiamento aggressivo nel perseguire opportunità per le sue imprese, come quelle che spingono da tempo per accaparrarsi le commesse nella ricostruzione di Aleppo.

twitter@FDepalo

 

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