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Haftar non avanza sul campo. Da Parigi dubbi politici sul generale

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In Libia la situazione sul campo non vede cambiamenti sostanziali. Gli uomini delle milizie tripoline – spesso semplificati in pro-Gna, ossia sostenitori del Governo di accordo nazionale promosso dall’Onu, ma sarebbe meglio scrivere anti-Haftar – sono praticamente a Garyan la città appena sotto i rilievi che segnano la zona meridionale dell’ampio hinterland di Tripoli da cui le forze dell’autoproclamato Feldmaresciallo Khalifa Haftar stanno lanciando l’offensiva sulla capitale.

Ma arretrano anche su Wadi Rabea, Qasir Ben Ghashir, Ain Zara and Twaish. E le forze anti-di Misurata hanno chiuso la linea di rifornimenti via al Jufra.

La missione contro il governo onusiano e il suo premier designato, Fayez Serraj, non è andata come previsto. Haftar è troppo debole per prendere la Libia, però è molto loquace e cerca con la propaganda di creare la giusta cortina fumogena per dipingere la sua aggressione come un’operazione anti-terrorismo – l’accusa implicita è che le Nazioni Unite hanno dato la Libia in mano ai terroristi, dunque – e ingigantire i propri piani e le proprie forze.

Ieri, s’è parlato di una seconda fase dell’offensiva: e ne ha parlato uno dei comandanti militari dell’operazione su Tripoli, quello della 73esima brigata di fanteria dell’Lna (Haftar ha denominato la sua milizia, non senza ambizione, Esercito nazionale libico, e l’ha suddivisa in unità militari secondo l’ordine classico: un altro tentativo lessicale di accreditarsi diversamente da quel che è, un signore della guerra che, con l’appoggio politico interessato di parte del parlamento eletto nel 2014, poi auto-esiliatosi a Tobruk, controlla un’ampia fetta di paese nell’Est, la Cirenaica, e alcune strisce a sud-ovest, al confine tra Tripolitania e Fezzan).

Quel comandate ha parlato a Sputnik, media che il Cremlino manda in diverse lingue per diffondere la propaganda governativa russa (la Russia è uno degli sponsor internazionalei haftariano, e il Feldmaresciallo ha bisogno di sponsorizzazioni), e ha detto che ora l’attacco delle “forze di liberazione” – è ancora il lessico dell’anti-terrorismo – si sta concentrando in una seconda fase, che ha come obiettivo il vecchio aeroporto internazionale. Lo scalo è inutilizzato dal 2014, e in realtà era già stato il centro dell’offensiva del Feldmaresciallo una dozzina di giorni fa, solo che poi gli anti-Haftar hanno respinto le sue unità.

Venerdì, il portavoce dei Haftar, Ahmed al Mismari, megafono della propaganda, aveva detto che alcune “forze amiche” hanno aiutato dal cielo le unità lanciate su Tripoli. Formiche.net ha cercato conferme dal campo di questa novità che potrebbe segnare l’aumento del livello di coinvolgimento di attori esterni in un momento di difficoltà di Haftar, ma non è stato possibile comprendere definitivamente se i bombardamenti siano stati condotti da unità non libiche.

Fonti libiche riferiscono che i locali parlano di un velivolo visto girare attorno a mezzanotte, in circolo sopra l’area sud di Tripoli, a Sabaa: mentre volava lasciava “dicono di una specie di ronzio”.  Il sospetto, incrociando il racconto con le parole di Mismari, ricade su un Uav Wing Loong, ma si sottolinea che siamo nel campo delle speculazioni. Si tratta di aerei senza piloti che gli Emirati Arabi comprano dalla Cina: vengono equipaggiati con missili semi-guidati LJ-7 (o Blue Arrow) e sono già stati usati per assistere Haftar nella conquista di Bengasi (in altre circostanze gli emiratini usarono Air Tractor, ma in questo caso sembra più improbabile per questioni di raggio d’azione).

L’aumento del coinvolgimento di Abu Dhabi, principale dei sostenitori di Haftar (con l’Egitto), potrebbe aver avuto semaforo verde dopo la dichiarazione con cui la Casa Bianca ha riconosciuto un ruolo nella lotta al terrorismo a Haftar. Dichiarazione su una telefonata fatta lunedì scorso da Donald Trump all’uomo forte della Cirenaica, diffusa però venerdì (non smentita ma non inserita nei canali ufficiali), in giorni di intensi contatti tra Usa e UAE.

Intanto nella notte sono state diffuse anche le immagini di un altro attacco aereo, condotto probabilmente tramite Mi-35, elicotteri russi arrivati in mano a Haftar da terze parti in violazione di un embargo Onu (questione su cui il Consiglio di Sicurezza vorrebbe alzare una risoluzione di condanna e responsabilizzazione per chi viola, ma su cui fatica a trovare una quadra). I Mi-35, secondo un report Ispi di due anni fa, potrebbero essere arrivati in Libia da contractor privati russi e (ancora) tramite gli Emirati Arabi. Esperti Onu avevano già scoperto nel 2017/2018 la violazione dell’embrago. Secondo l’analisi dei video di Babak Taghvaee, giornalista esperto di aviazione, l’attacco condotto nella notte sull’outskirt tripolino sarebbe stato condotto con missili non guidati, dunque con alto potenziale di errore (in questi giorni l’Lna ha rimesso in funzione anche un Mig-23 secondo gli analisti fermo da una ventina d’anni).

Sul fronte opposto, secondo le informazioni riportate da Avvenire, la cosiddetta Guardia costiera libica (milizie tripoline convertite al ruolo, con un minimo addestramento) ha iniziato a usare le motovedette italiane fornite solo per operazioni contro i trafficanti di uomini per rispondere all’offensiva di Haftar che potrebbe avere anche sbocco marittimo. Le motovedette erano state liberate dalle armi nei cantieri italiani prima della consegna ai libici che però le hanno modificate montandoci sopra mitragliaci da campo (la Libia è piena di queste fantasiose creazioni tecniche).

La situazione è ferma anche dal punto di vista politico e delle trattative per il cessate il fuoco. L’Onu non ha ancora diffuso una risoluzione per fermare gli scontri, i contatti sono intensissimi, e si diffondono quotidianamente notizie su questa intensa, complicata attività della diplomazia. Nei giorni scorsi, il sito Africa Intelligence (una pubblicazione che fa parte di un set a pagamento che viene considerato piuttosto vicino ai servizi francesi) ha scritto che l’Italia sta lavorando moltissimo cercando di avvicinare i due fronti: in particolare, il tentativo di Roma passa dal ministro dell’Interno del Gna, Fathi Bachagha, che a Tripoli sta guadagnando consensi (e con cui nei giorni scorsi s’è visto a Tripoli Gianni Caravelli, vicedirettore dell’Aise), e il vice di Serraj, Ahmed Maitig, per dialogare con le controparti dell’Est libico.

Un report del parigino Institut Montaigne dipinge il 75enne Haftar con le descrizioni discretamente fornite da alcuni diplomatici che lo hanno incontrato: “Un uomo estraneo alle considerazioni politiche, un leader militare fatto di legno come tutti i dittatori, rapido a dipingere gli avversari come terroristi”. Il fattore età/caratteriale non è secondario: una considerazione che avrebbe portato Haftar a spingere sull’acceleratore nel momento in Serraj sembrava costruire di più, e che chi pensava a un ipotetico futuro della Libia nelle mani del Feldmaresciallo sta già valutando. L’avanzata, al di là della propaganda, sembra puntare a ottenere una maggior leva negoziale.

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