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La competizione per il capitale umano tra città globali

Sotto più profili e per svariati motivi, i prossimi 50 anni (forse anche meno) del secolo che stiamo vivendo, si caratterizzeranno per forte protagonismo e ruolo delle città globali, con la capacità di essere centrali ben oltre i loro perimetri fisici ed incidendo invece in economia e politiche pubbliche. Ben prima che questo secolo termini, più della metà della popolazione mondiale risiederà in città metropolitane e la loro incidenza su gestione di flussi, economie, dati e persone, sarà più forte di oggi.

Che le città abbiano avuto centralità è già accaduto in passato, ma oggi più che mai i grandi centri urbani rappresentano hub di progresso, civiltà, innovazione. A differenza del passato non si tratta di pochi casi isolati, ma di una nuova realtà diffusa su scala mondo: Shanghai, Londra, Lagos, Tokyo, Istambul, New York, Karachi, San Paolo, sono solo alcune delle città mondiali più grandi per popolazione ma anche per capacità di crescita ed impatto rispetto ai loro Paesi e si trovano localizzate in tutti i continenti a conferma che si tratta di un fenomeno globale e diffuso. Non a caso, sempre più spesso, urbanisti, economisti e sociologi parlano di “urban age” per definire questo tempo.

I dati relativi all’aumento della popolazione e all’andamento delle dinamiche economiche confermano e descrivono questa lettura con cifre e grafici (università e centri di ricerca internazionali convergono su ciò), sia rispetto alla capacità attrattiva che le città hanno con sempre più forza nella concentrazione di economia, capitale umano e innovazione, sia rispetto allo spostamento della popolazione dalla campagna al centro urbano.

Guardare ai 50 anni appena passati può esserci di aiuto per capire la direzione del mondo dei prossimi 50. Se si analizzano le zone di impatto economico più rilevanti del pianeta (Europa/Usa, Cina, india) si nota come il fenomeno della attrattività delle città si realizzi con velocità diverse che indicano anche l’indirizzo del mondo nel corso del tempo. Il flusso nella direzione periferia agricola/centro urbano, Stati Uniti e Vecchio Continente lo hanno vissuto nei secoli 1700 e 1800 con lo spostamento di circa l’80% della popolazione; la Cina di oggi è a metà di questo passaggio con circa il 50% della propria popolazione che risiede nelle sue città. L’India con il 20% di popolazione urbana su oltre 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, sta ancora indietro, si potrebbe dire alla fase iniziale del processo. L’ordine temporale (mondo occidentale, Cina, India) indica anche la coincidenza tra centralità delle città e rilevanza che hanno guadagnato le parti del mondo dove queste sono localizzate. Più cresce il ruolo e la forza delle città, più crescono ruolo e forza delle regioni in cui queste si trovano. La descrizione dell’Asia come luogo del futuro del mondo fatta da Parag Khanna nel suo ultimo libro (“The Future is Asian” pubblicato ad inizio 2019) conferma questa riflessione ed evidenzia come 6 delle 10 megalopoli più popolose del pianeta siano oggi localizzate proprio nel continente (ri)emergente.

Già in una prospettiva di medio periodo, questa tendenza ha un punto di debolezza che genera sempre più forte competition tra le città. Il combinato disposto tra esaurirsi della transizione aree rurali/aree urbane ed aumento (fortunosamente) della propensione all’invecchiamento della popolazione, definisce che il tema del capitale umano – ed il suo “accaparramento” – giovane, motivato e preparato, sarà sempre più centrale ed importante. Per capire questo fenomeno basta analizzare i dati recentemente forniti dalla società di consulenza americana McKinsey che ha stimato come “entro il 2025 oltre il 60% delle grandi città nelle aree sviluppate ed il 47% nelle regioni in via di sviluppo avranno meno giovani adulti di oggi”. Ciò comporta che aumenterà la competizione tra i territori per attrarre talenti e capitale umano; una competizione non tra Stati ma tra città ed a vantaggio delle rispettive economie. Una competition con protagoniste le megalopoli finalizzata a recuperare giovani energie preparate e qualificate, disposte a localizzarsi li dove ci siano occasione di crescita e miglioramento personali e di contesto collettivo ottimale. Per questo man mano che il tempo passa, le città diventano sempre più attrattori di persone da tutto il globo, generando al loro interno un cosmopolitismo concreto che vive più ancora che dentro i confini degli Stati.

Andando a guardare i dati sulla capacità cosmopolita che hanno le città, a fine 2018 proprio la McKinsey ha stilato un indice che misura la forza delle metropoli globali. Dubai è la prima avendo l’83% della propria popolazione attuale che è nata all’estero, ben 140 diverse lingue parlate e 200 differenti Paesi di provenienza dei suoi abitanti; Bruxelles è seconda, la capitale d’Europa ha il 62% della popolazione di nascita straniera, i suoi abitanti provengono da 140 diversi Paesi e sono 86 le lingue frequentemente parlate ogni giorno. Toronto, Auckland, Los Angeles, Sidney, Singapore, Londra, New York, Melbourne completano l’ordine delle prime 10. Ciò significa che ad oggi, 9 su 10 delle prime classificate sono città che non sono localizzate in Asia, che hanno già ampiamente superato la fase di spostamento della popolazione da campagna a città e che hanno invece determinato la loro attrattività su altri elementi che coinvolgono capitale umano di altri Stati, di altri continenti, di altre distanti provenienze. Nella graduatoria McKinsey, complessivamente sono ben 13 le città che hanno più del 25% dei propri residenti che sono nati all’estero.

Una delle sfide del futuro si giocherà quindi sulla capacità delle città di determinare condizioni che attraggono persone e competenze, con l’obiettivo di migliorare le singole realtà e farle emergere nel rapporto con le altre. Sono ancora nelle orecchie di tutti i casi di Amazon e Tesla con la guerra a colpi di defiscalizzazioni e fiscalità di vantaggio messe in campo dalle varie amministrazioni locali per convincere i rispettivi ceo a scegliere la loro città nella localizzazione delle rispettive nuove strutture (a differenza di Washington, a New York Amazon ha dovuto rinunciare a causa di uno scontro politico all’interno dei democratici). Le città diventano sempre più snodi chiave per attrarre competenze, centri importanti per ogni tipo di flusso che sia economico, di merci o tecnologico.

Migliore capitale umano formato e aperto al mondo significa migliore qualità professionale e imprenditoriale e di conseguenza migliore economia. Da anni assistiamo ad un sempre più forte cambiamento nelle e delle città, come luoghi migliori in cui vivere; con riferimento alla loro capacità di essere performanti rispetto al capitale umano da attrarre, quasi tutte quelle che partecipano a questa competizione si attivano per avere: a) un ambiente di lavoro che attrae il talento globale; b) una forte attenzione alla vivibilità ambientale e sociale; c) una rete di servizi efficaci e saper generare vita sociale e culturale di livello.

Insieme ad altri elementi, questi generano già oggi flussi di persone che scelgono un luogo piuttosto che un altro per la loro vita. Anche solo rispetto a qualche anno addietro è più comune l’espressione “vado a vivere a New York” piuttosto che “vado a vivere in America”: nell’indicazione specifica della città che si sceglie vi è già l’idea del luogo specifico ed i motivi del perché lo si preferisce ad altri pur all’interno dello stesso Paese. Già nel 2014 l’economista Enrico Moretti con il suo “La Nuova Geografia del Lavoro” aveva ben descritto questo fenomeno.

Tecnologie, trasporti e reti di città permettono oggi una facilità di spostamento che in passato era inimmaginabile, divenuta cosi normale da essere anche entrata nel linguaggio di uso comune e richiamata con simpatia in una striscia di Snoopy (“se non ci piace dove stiamo possiamo spostarci, non siamo alberi”). La mobilità del capitale umano è sempre più fenomeno del nostro tempo, le città globali saranno i player che se lo contenderanno perché “non siamo alberi” e tutti vogliono vivere in posti migliori. La competizione per l’accaparramento delle competenze sarà una realtà con cui confrontarsi.

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