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La Via della Seta? Un progetto anche militare alternativo all’Occidente. Parla Selvatici

“La Nuova via della Seta è un progetto globale inteso anche come alternativa militare all’Occidente”. Per Antonio Selvatici, saggista e docente universitario, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri, la Belt and Road Initiative alla quale l’Italia ha aderito tra timori e polemiche, nasconde diverse insidie, alcune delle quali decisamente trascurate.

LA STRATEGIA CINESE

“La strategia cinese della Nuova via della Seta”, ha detto l’esperto nella sua lezione, “è un caso di scuola di mancata informazione. Si tratta di un elemento curioso: mentre quotidianamente si devono gestire e filtrare grandi quantità di dati, per quanto riguarda l’ambizioso progetto cinese della Nuova Via della Seta per molti mesi le informazioni provenienti da fonti attendibili sono state rare. È venuta quindi a mancare la base culturale su cui potere sviluppare dibattiti e riflessioni appropriati. La mancanza di approfondimenti e di confronto ha permesso di sbizzarrirsi alla vasta pubblicistica recentemente sviluppatasi dopo la firma del Memorandum d’Intesa. In questo modo, tutta la vicenda è stata diffusa ed interpretata con superficialità”.

UN PROGETTO GLOBALE

Per il docente, “intelligence” significa unire i punti quando la figura non è ancora delineata, essendo curiosi per produrre documenti utili ai decisori. “È noto – ha detto – come la Cina per soddisfare le produzioni sia un Paese energivoro, quindi importi grandi quantità di petrolio soprattutto via mare, e, sempre via mare, esporti merci destinate al ricco mercato dell’Occidente. Pertanto la sicurezza dei trasporti è fondamentale per la sopravvivenza economica e sociale della nazione del Dragone”.
Selvatici ha precisato che “la Nuova via della Seta è un progetto globale inteso anche come alternativa militare all’Occidente”. Lo studioso ha quindi messo in luce che è proprio nelle intenzioni cinesi procedere “verso un nuovo ordine mondiale”. Poi Selvatici ha ricordato come la Nuova via della Seta sia stata pensata nel 2013 e nel 2018 inserita nella Costituzione. Per quanto riguarda l’Italia, la Cina con il progetto della Nuova via della Seta Marittima, attraverso i porti dell’Alto Adriatico, intende avvicinarsi al cuore dell’Europa, dove il costo del lavoro è basso.

IL RUOLO PUBBLICO

Le società cinesi protagoniste del progetto di “conquista globale”, ha detto Selvatici, sono soprattutto aziende pubbliche, controllate dal Partito comunista (da qui le lamentele, sempre più frequenti, di uno squilibrio di competitività a favore delle aziende cinesi e di una scarsa apertura del mercato della Repubblica Popolare alle imprese occidentali).

UNA LETTURA SBAGLIATA

Inoltre, per il docente, vi sono evidenti errori di lettura relativi alla visita di Xi Jinping nel nostro Paese. Secondo Selvatici sono stati pubblicizzati gli investimenti nella logica del profitto capitalista, mentre molti di questi rispondono a una logica di espansione politica e strategica. L’esperto ha poi ricordato il ruolo decisivo della State Ownes Supervision and Administration Commission on The Council, commissione a guida pubblica che controlla gli investimenti di 96 holding statali finanziarie, industriali e bancarie. Ciò evidenzierebbe come l’attuale superiorità cinese consista nel modello di Governance piuttosto che sul basso costo della mano d’opera. “Bisogna ammettere – ha affermato Selvatici – che il sistema autoritario cinese a guida pubblica è il vero vantaggio competitivo. Ciò a livello globale provoca delle asimmetrie da un lato gli Stati democratici dall’altro quelli autoritari”. Ha poi rilevato una serie di differenze tra Occidente e Cina: da un lato il mercato è considerato come regolatore e dall’altro insiste la “mano ben visibile” dello Stato; da un lato ci sono élite elettive mediatiche e burocratiche e dall’altro classi politiche dirigiste e cooptate in base al merito di un cursus honorum; da un lato – sopratutto in Italia – le imprese vivono nonostante la politica e dall’altro le imprese vivono attraverso la politica. “Nel “Grande gioco” dell’economia globale – ha detto – si partecipa alla stessa partita, ma con regole differenti.

IL MODELLO DI PECHINO

“La strategia della nuova Via della Seta – ha poi proseguito – consiste nell’investire, costruire e gestire le infrastrutture. La diplomazia infrastrutturale si rivolge a singoli stati o a piccoli blocchi di stati. Il Porto del Pireo, in Grecia, in pochi anni ha concorso a ridurre di quasi la metà il traffico dello scalo di Gioia Tauro”. Selvatici ha quindi ricordato che “non solo vi è una Via della Seta marittima e una terreste, ma vi è anche quella delle informazioni, che Huawei Marine sta perseguendo posando cavi sottomarini che, nella maggioranza dei casi, seguono le rotte marittime”. Il docente ha quindi approfondito la conquista dei porti da parte della Cina, ricordando l’investimento su Gibuti e la costruzione della prima base militare al di fuori della Cina richiamando come nell’Ottocento rappresentò anche il primo insediamento coloniale italiano grazie alla compagnia navale Rubattino. Selvatici ha poi riepilogato le presenze cinesi in Algeria, Iran, Tanzania, Israele, Belgio, Francia e per quanto riguarda l’Italia l’interessamento verso gli scali di Vado Ligure, Ravenna, Trieste e Genova. Ha anche parlato delle tecnologie Made in China e sopratutto di videosorveglianza (recente il caso delle telecamere a Roma) con riconoscimento facciale particolarmente sviluppate e diffuse anche in Europa ed in Italia. Si è poi soffermato sui costi della Belt and Road Initiative, per la quale si può attingere da un fondo dedicato di circa 100 miliardi di dollari, rappresentando l’investimento più significativo ed impegnativo che vi sia al mondo.

CONDIZIONI IMPARI

Infine Selvatici ha affrontato il tema della reciprocità, evidenziando come adesso anche per l’Unione europea “l’apertura agli investimenti è un principio fondamentale [ma] gli investitori dell’Ue non godono degli stessi diritti nei Paesi da cui proviene l’investimento”. Ha quindi citato la Golden Power a disposizione dei governi per regolare gli investimenti stranieri, confrontandola con l’esperienza statunitense del Committee of Foreign Investiments che negli ultimi anni ha impedito la cessione a gruppi cinesi di aziende strategiche. In Europa ci sono 53 misure che riguardano prodotti siderurgici e tra questi 27 provenienti dalla Cina. Ha quindi affrontato il tema caldo del Memorandum of Understanding con la Cina, rilevando come si sia confusa la parte istituzionale con quella commerciale. “Alcuni passaggi del Memorandum – secondo il docente – potrebbero destare perplessità. Infatti se si considera la nostra tradizionale alleanza con gli Stati Uniti, affermazioni quali il contrasto degli “eccessivi squilibri macroeconomici, opporsi all’unilaterilasmo e al protezionismo” fanno riflettere. Anche perché l’Italia, ha sottolineato, è un ottimo esportatore di merce verso gli Stati Uniti e, in proporzione, un pessimo esportatore di merci verso la Cina. Però, di converso, importiamo grandi quantità di merci dalla Cina.

EFFETTI GEOPOLITICI (E DI SICUREZZA)

Per l’esperto è evidente come la parte istituzionale e politica del documento firmato a fine marzo a Roma potrebbe irritare la sensibilità degli Stati Uniti i quali, evidentemente, “si potrebbero essere sentiti traditi dal Paese dell’Europa che, tra tutti, vanta il maggior numero di basi militari Usa sul territorio”. Gli ultimi temi affrontati durante la lezione sono stati quelli del cyber espionage, potenzialmente possibile dall’utilizzo di tecnologie 5G di Huawei (al centro dello scontro tra Washington e Pechino), e delle auto elettriche, per le quali i cinesi hanno già acquisito giacimenti delle materie prime in Congo e Groenlandia per realizzare le batterie.

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