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La Libia e l’incubo della deriva siriana

haftar

La Libia come la Siria? L’incubo di un vulcano di conflitti con l’intervento militare diretto o sotterraneo di Russia, Francia, Nato e Stati Uniti sulle coste africane del canale di Sicilia ha già fatto scattare l’allarme rosso in varie capitali e soprattutto a Roma. L’escalation degli scontri attorno a Tripoli e le crescenti tensioni in Algeria e Tunisia, per non parlate del Sudan, delineano scenari destinati ad incidere sulla sicurezza nazionale dell’Italia, evidenziano gli analisti di strategie militari e geopolitiche Arduino Paniccia, dell’Università di Trieste, e l’editorialista Mauro Indelicato.

Quanto è concreto il rischio che l’escalation in corso in Libia possa trasformarsi in una situazione di guerra di tutti contro tutti, come in Siria?

Indelicato: “In un certo senso già lo è di fatto, abbiamo un Paese non solo destabilizzato e senza Stato, ma ora a tutti gli effetti in guerra proprio davanti le nostre coste. Possiamo dire che la Libia è una sorta di “buco nero” nel Mediterraneo, uno spazio non controllato da una vera e propria forza statale nel bel mezzo del bacino del Mare Nostrum. Ecco perché il dossier libico è così importante ed ecco perché occorre tenere costantemente attenzione a quanto accade a poche miglia da noi”.

Paniccia: “La differenza tra il caso della Siria e la Libia- e non è una differenza da poco- e che la Libia non è un campo di scontro tra sunniti e sciiti come lo è stato il territorio siriano e l’altra differenza è che la Libia è un produttore di petrolio e gas ottimi a prezzi di produzione molto competitivi e la Siria no. Le similitudini sono invece nell’essere la Libia diventata comunque terreno di conflitto tra potenze medie musulmane-Turchia e sauditi da tempo in lotta per la supremazia- e oggetto di un braccio di ferro russo statunitense nel quale si è inserito destabilizzando il gioco ambiguo francese nel tentativo di creare una presenza dell asse franco tedesco che dominerà l’Europa anche dopo le elezioni del 26 maggio. Naturalmente lo scontro è alimentato sempre dai fratelli musulmani come in tutta la sponda nord africana e le residue forze del califfato agognano di tornare a combattere in un paese che si presta molto, vista la sua conformazione, a una nuova guerriglia terroristica”.

Dietro le quinte chi è schierato con le varie fazioni, con quali forze o con quali apporti?

Indelicato: “Ormai prende sempre più piede l’ipotesi che l’attuale battaglia Tripoli sia figlia del confronto diretto tutto interno al mondo arabo. Anzi, a voler essere più precisi, interno alle petromonarchie. Da una parte c’è il blocco saudita – emiratino che sostiene Haftar, dall’altra c’è il Qatar che sostiene invece i Fratelli Musulmani i quali hanno diversi ministri all’interno del governo di Al Sarraj. In poche parole, la sfida tra Riad e Doha per contendersi le sfere d’influenza nel mondo arabo è arrivata alle porte di Tripoli. Haftar ha dalla sua l’unica forza che può realmente considerarsi un esercito in Libia, Al Sarraj dispone invece di milizie che da anni controllano Tripoli e che dovrebbero godere soprattutto dell’appoggio delle forze di Misurata”.

Paniccia: “Non vorrei che dietro le quinte fosse il gioco ambizioso dei francesi a rendere veramente difficile una soluzione stabile duratura perche in Libia vi è oggi una triplice dimensione di confronto: Haftar con Egitto e sauditi Serraj con Quatar e turchi, poi il secondo girone, il confronto nel mediterraneo Usa-Russia.Più, terzo, le ambizioni di dominare la sponda africana del nuovo asse europeo Macron-Weber. Troppi attori e troppi appetiti.”

Da dove nascono i timori di destabilizzazioni parallele in Algeria e Tunisia?

Indelicato: “In primo luogo bisogna considerare le condizioni economiche dei Paesi del nord Africa. Si tratta di nazioni dove disoccupazione e corruzione rendono le società delle vere e proprie bombe ad orologeria pronte ad esplodere. Il guaio è che, con il caos imperante in Libia, se dovessero sorgere problemi anche in Algeria e Tunisia si avrebbe un nord Africa totalmente destabilizzato. E purtroppo questo timore non appare affatto remoto. In Algeria le manifestazioni vanno avanti nonostante le dimissioni di Bouteflika, in Tunisia si vota ad ottobre ed il paese spesso mostra segnali di insofferenza verso la propria classe politica”.

Paniccia: “Per quanto riguarda l’area nord Africa sponda mediterranea e Sahel, al contrario di quanto accaduto ai tempi della presidenza Obama dove la dottrina era ‘lasciate galoppare le primavere arabe’, ovvero i fratelli musulmani, mi sembra che accordi sotto la superficie pur nell’ambito come si è visto di posizioni differenziate, siano quelli dal Sudan all’Algeria di far muovere verso il controllo del potere militari e generali e in questa logica rientra Haftar. La soluzione libica, come scrissi in articolo su Formiche del 2014 sarebbe stata in stile ”egiziano, il percorso da allora è stato lento ma il risultato è sotto i nostri occhi. Dall’altra parte del canale di Suez invece Israele afferma sempre più il suo ruolo di sentinella dell’ asse Iran-mondo sciita, che rappresenta l’altro enorme problema scaturito dalla spaventosa guerra in Siria”.

Ruolo e prospettive dell’Italia?

Indelicato: “L’Italia può e deve esercitare la sua possibilità di essere principale forza di mediazione. Abbiamo ottimi rapporti con tutte le varie parti in causa: sosteniamo Al Sarraj ma dialoghiamo con Haftar, a livello commerciale siamo in grande contatto sia con il Qatar che con gli Emirati Arabi Uniti, non ci manca nulla per riprendere da subito la situazione libica in mano promuovendo nuove azioni diplomatiche. Ma il governo deve assolutamente fare in fretta.”

Paniccia: “Le nostre prospettive avendo giocato di rimessa, non essendo partecipanti veri nelle partite che ho prima delineato, sono modeste. Abbiamo snobbato Haftar che si capiva che era l’uomo forte per sostenere il debolissimo Serraj ( non dimentichiamo che i campi di detenzione sono nel suo territorio e non in quello controllato da Haftar) e abbiamo sbagliato completamente la strategia verso il problema libico guardando sempre alla logica del nostro ombelico quando chiunque sa che il vero problema e non far diventare la Libia appunto come la Siria”.

Scenari sulla base dei possibili sviluppi?

Indelicato: “a Tripoli si va verso una fase di stallo, almeno a livello militare. Haftar guadagna piccole porzioni di territorio al giorno, potrebbe entro breve arrivare alle porte della capitale, ma non ha interesse e nemmeno forse mezzi per affrontare una battaglia urbana dentro la città. Per cui le forze di Al Sarraj resteranno lungo le linee di difesa, quelle di Haftar proveranno a far valere la propria migliore organizzazione. Si rischia di rimanere per diverse settimane in un vero e proprio muro contro muro, che ovviamente avrebbe ripercussioni nell’intera Libia. Per questo, come detto prima, l’Italia adesso deve essere la prima promotrice per un’azione diplomatica e di dialogo”.

Paniccia: “Quello che dobbiamo evitare come finale della vicenda libica è di essere ancora una volta tagliati fuori, dopo essere stati anni in prima linea sul fronte dei migranti, del fallimento della politica europea nel tentativo di stabilizzare e riportare ordine nel vuoto creatosi nell ‘area mediterranea. La nostra futura strategia ripeto deve riguardare prima di tutto il destino della Libia e dell’area. Questo è il mantra. E questo oggi dipende anche dall’Europa. Non dobbiamo farci emarginare nuovamente quindi la nostra prossima trattativa sarà con il nuovo capo della commissione europea da un lato ma non deve pregiudizialmente escludere Haftar dall’altro”.

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