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Liberato in Siria l’ostaggio italiano Alessandro Sandrini

L’italiano Alessandro Sandrini sarebbe stato liberato. Lo ha annunciato in conferenza stampa il Governo della salvezza dell’enclave ribelle di Idlib (l’organizzazione che governa la provincia secondo il progetto della grande coalizione di milizie Hayʼat Taḥrīr al-Shām, HTS, accusata di mantenere collegamenti sotto traccia con al Qaeda, mentre ha rapporto con la Turchia).

“Confermo, mio figlio è libero si trova ancora in Siria ma nelle mani dei nostri carabinieri», ha detto Gianfranco Sandrini, il padre, al Corriere della Sera. “Sono felicissimo, è la fine di un incubo, adesso sto andando a Roma, spero di potergli parlare al telefono stanotte”. Sandrini, trentaduenne bresciano di Flero, al rientro in Italia dovrà affrontare una pena per ricettazione e rapina, accuse da cui non si è potuto difendere per via della prigionia.

Era partito per la Turchia (Adana, nel sud, meno di duecento chilometri da Aleppo e poco di più da Idlib) dall’aeroporto bergamasco di Orio al Serio il 3 ottobre del 2016 per un viaggio che aveva fatto insospettire i conoscenti, dato che di solito non viaggiava solo. Doveva star fuori una settimana, ma di lui non si seppe niente per oltre un anno – un tempo in cui i canali investigativi e diplomatici si erano attivati.

Il 17 ottobre del 2017 la famiglia ricevette una telefonata in cui Sandrini rassicurava i suoi di essere vivo, ma diceva di non sapere dove trovarsi: era stato rapito. A dicembre dello stesso anno un’altra chiamata: la madre raccontava al Corriere della Sera meno di un mese fa che le due conversazioni erano state rapide, nell’ultima gli diceva che “vogliono soldi, qui questi non scherzano! Aiutatemi”. Ancora dicembre del 2017, il 22: “Mi tengono in una stanza di tre metri per tre, ci sono altre persone sequestrate ma io non le vedo. Non so dove mi trovo”. Poi ancora il 21 gennaio del 2018: “Lo Stato italiano non sta facendo nulla per me. Vuole farmi morire qui”.

Successivamente, l’estate scorsa (luglio) erano usciti anche alcuni video in cui veniva ripreso con una tuta arancione – di un materiale diverso da quello classico usato dai gruppi jihadisti per riprendere le tute dei prigionieri delle carceri americane: sembrava di raso. Alle spalle due uomini armati, vestiti di nero, il volto coperto da un balaklava, tenuta classica dei miliziani apparsi nei filmati con ostaggio dello Stato islamico, ma ripresa spesso da altri gruppi criminali nella regione per incutere timore e arrivare più facilmente a un riscatto. “Chiedo all’Italia di chiudere questa situazione in tempi veloci perché hanno detto chiaramente che sono stufi, che mi uccideranno se la cosa non si risolve in tempi brevi e io chiedo di aiutarmi”, diceva.

La liberazione dell’ostaggio italiano è un punto politico a favore dei ribelli di Idlib, che in questi giorni sono sotto attacco da parte delle forze governative siriane e degli alleati (Russia e Iran), intenzionate a riprendersi anche l’enclave ribelle e riportare tutto il paese sotto il rais Bashar el Assad. A spingere questa offensiva a protezione del regime c’è la narrazione della lotta al terrorismo, come Assad e alleati hanno sempre definito i gruppi dell’opposizione armata. In questo caso HTS ha una posizione piuttosto delicata perché è accusato di mantenere rapporti con i qaedisti, includendo al proprio interno anche l’ex filiale siriana di al Qaeda, sebbene l’organizzazione si sia dissociata dai jihadisti di Ayman al Zawahiri. Liberare Sandrini serve al gruppo anche a darsi un’immagine più pulita.

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