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Tutti i nodi da sciogliere su Pa e dirigenti pubblici. Le risposte della Cida

Il Forum della Pubblica amministrazione ha presentato, nei giorni scorsi, un aggiornato quadro statistico della dirigenza statale, dal quale emerge un identikit del manager pubblico che presenta poche novità, alcune conferme e molti interrogativi sulle iniziative da attuare per migliorare il livello delle competenze ed elevare l’efficienza professionale della dirigenza pubblica.

L’ETÀ DEI DIRIGENTI PUBBLICI

Innanzitutto, il problema dell’età. Fra i dirigenti pubblici uno su quattro ha superato i 60 anni, appena 212 sono quelli sotto i 35 anni. I dirigenti sono più anziani rispetto alla media generale del pubblico impiego, pari a 50,6 anni. Ai vertici delle amministrazioni pubbliche l’età media sale a oltre 55 anni, 55,6 per gli uomini e 54,7 per le donne. Si assiste a un progressivo invecchiamento rispetto al 2007, anno in cui l’età media dei dirigenti era di 53 anni.

Poi c’è l’aspetto delle competenze e dell’avanzamento professionale, in cui appare evidente che si è scelto di mettere al primo posto l’esperienza rispetto ad altri criteri di valutazione e selezione. Il che vuol dire che i manager pubblici hanno raggiunto posizioni dirigenziali dopo una lunga gavetta nella Pubblica amministrazione: ben 20 anni nel 50% dei casi. Ma per leggerlo compiutamente, a questo dato occorre affiancarne un altro: i dirigenti pubblici sono in possesso di un elevato livello di istruzione, il 97% è laureato e il 16% ha un titolo superiore alla laurea. Ma raramente fanno aggiornamento professionale e adeguano le proprie competenze: in media ogni dirigente ha usufruito di meno di due giornate di formazione all’anno. Il risultato congiunto di questi due elementi, ci fornisce una sintesi del personale dirigente delle pubbliche amministrazioni, che risulta essere “anziano” dal punto di vista anagrafico e, soprattutto, con evidenti deficit di competenze rispetto ai processi di modernizzazione in atto sia nell’industria, sia nel terziario avanzato.

IL GAP DI GENERE

Infine, non certo per importanza, c’è la questione del “genere”: dalla ricerca del Forum Pa, appare che la metà dei dirigenti pubblici è donna, l’8% in più del 2007. Ma, si fa notare, questa escalation del genere femminile è dovuta più al taglio di oltre 10mila colleghi che a un aumento delle assunzioni/promozioni di donne.

IL RISCHIO DI DIPENDENZA DALLA POLITICA

La fotografia ripropone perciò i nodi da sciogliere purtroppo noti da tempo: l’accesso alla dirigenza e il relativo iter per gli avanzamenti di grado, i connessi criteri di valutazione, i ruoli e le responsabilità, le competenze anche specialistiche via via sempre più necessarie. A questi problemi, se ne aggiunge uno che viene però sentito con un crescente senso di urgenza proprio dalla dirigenza pubblica, cioè il desiderio di stabilità e di riduzione del rischio di dipendenza dalla politica. Un aspetto, quest’ultimo, che spesso resta defilato, emergendo solo di fronte a eclatanti casi di spoil system nella Pubblica amministrazione, ma che è in grado di corrodere dall’interno quel mondo e di provocare fenomeni di demotivazione professionale difficili da gestire.

LE RISPOSTE DI CIDA AI NODI DA SCIOGLIERE

Come Cida, siamo naturalmente già intervenuti sulle problematiche della Pubblica amministrazione e della sua dirigenza, in particolare. Ad esempio, proponendo l’idea di un organico piano di rilancio della Pubblica amministrazione nella sua funzione primaria di promozione dello sviluppo socio-economico e di tutela dei diritti dei cittadini. L’idea alla base era di concentrare le risorse su tali specifiche finalità, con interventi di razionalizzazione degli ambiti nei quali l’interesse pubblico è meno rilevante o può essere meglio perseguito promuovendo la partecipazione di soggetti privati e del terzo settore. Uno Stato quindi che individua le priorità e non ha la presunzione di gestire direttamente, spesso solo sulla carta, ogni servizio di pubblico interesse. Uno Stato regolatore, garante del corretto utilizzo delle risorse comuni.

Ancora, abbiamo più volte denunciato l’ipertrofia normativa che condiziona ed appesantisce l’attività amministrativa, perché genera un quadro regolativo complesso e disorganico. Ne deriverebbe un impulso alla semplificazione delle esistenti procedure amministrative per ridurre adempimenti e oneri procedimentali che gravano su cittadini e imprese.

Il “mostro” burocratico spesso invocato come uno dei mali italiani peggiori non ha il volto dei dirigenti pubblici. Che al contrario ne sono spesso vittime: di leggi incoerenti, d’interventi politici discontinui e irrispettosi della loro autonomia, di meccanismi valutativi che non valorizzano il merito, di strumenti tecnologici obsoleti, di deboli poteri organizzativi per la gestione del personale. Quando sono in prima linea nelle risposte ai cittadini ci mettono la faccia, finendo spesso per caricarsi di responsabilità che non possono agire o per essere accusati di atteggiamenti difensivi.

Occorre essere realisti: i governi e i ministri competenti che si sono lasciati sedurre dal “miraggio” della grande riforma della Pubblica amministrazione hanno spesso aggiunto ulteriore incertezza a un quadro già precario. Nel tempo il numero dei dirigenti si è ridotto (come peraltro anche quello degli altri lavoratori del settore pubblico) ma, in assenza di un disegno organico e di strumenti organizzativi evoluti, si sono aperti vuoti ormai gravi e diffusi. I recenti provvedimenti in campo previdenziale (pensionamento anticipato con “quota 100”) hanno creato allarme, che ha indotto l’attuale titolare del Dipartimento della Funzione Pubblica a lanciare una proposta per un nuovo corso di laurea che dovrebbe garantire un accesso diretto (con concorso) alla Pubblica amministrazione.

Sarebbe forse più efficace concentrarsi invece sui contratti della dirigenza pubblica, innovandoli nei contenuti e nelle modalità di discussione. La lentezza che caratterizza i rinnovi, sommata ai troppi blocchi perequativi, ha indotto a dare troppo spazio alle rivendicazioni economico-salariali. Senza trascurarle, sarebbe auspicabile un’attenzione maggiore alla parte normativa, riqualificandola profondamente per recepire le istanze più innovative e “riformatrici” della dirigenza pubblica: dai criteri di selezione e valutazione, agli aggiornamenti formativi e professionali, alla definizione di compiti e responsabilità progettuali di riorganizzazione, alle possibili “contaminazioni” con il mondo della dirigenza privata. Aprendo anche la via a un sistema di welfare sussidiario che colga specifiche esigenze territoriali. Cida è pronta a ragionarne.

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