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Salvini, Di Maio e il ribaltone (tra loro)

Salvini

Vedremo cosa succederà dopo il 26 maggio, è tutto sommato inutile parlarne adesso. È però evidente il ribaltamento di posizioni tra Di Maio e Salvini che si è venuto a creare, ribaltamento che non resterà senza conseguenze e che vale la pena approfondire per tentare di fare un credibile “punto nave”.
Il ribaltamento è molto semplice da descrivere ed è sotto gli occhi di tutti: per molti mesi (diciamo dall’estate dello scorso anno a marzo 2019) è stato Salvini a condurre le danze, cavalcando in modo poderoso la sua chiara ed efficace posizione in materia d’immigrazione, conducendo la sua coalizione “locale” (cioè l’alleanza con Forza Italia) a ripetuti successi nelle elezioni regionali e ottenendo un rapido e formidabile incremento di consensi, fino a raddoppiare (nei sondaggi) quel 17 % del voto di marzo 2018. Nel contempo il M5S ha navigato in acque difficili, spesso attorcigliato nelle sue dinamiche interne tutt’altro che semplici da gestire.

Ora però la situazione appare sostanzialmente ribaltata, con Di Maio tonico più che mai e capace di toni sferzanti verso il suo alleato (compresa l’intervista di oggi a Repubblica). Ma cosa ha determinato questo ribaltamento di ruoli? E quali conseguenze avrà il nuovo assetto che ne risulta determinato?

La risposta c’è, ma è inevitabilmente complessa. Però può essere riassunta considerando tre elementi, capaci, se attivi contemporaneamente, di produrre effetti assai visibili.

Il primo, tutto interno al palazzo, riguarda il rapporto tra il M5S e la funzione governo. Rapporto per mesi tormentato ma oggi più sereno, anche perché sono del movimento quasi tutti i dicasteri dotati di struttura. Ecco allora farsi evidente un tema da molti sottovalutato: alla Giustizia come al Mise, alla Salute come alle Infrastrutture e alla Difesa (ma anche agli Esteri e all’Ambiente) i “professionisti” del Palazzo hanno preso le misure ai nuovi governanti e (dopo mesi di rapporti tesi) hanno trovato forme di convivenza che spesso diventano collaborazione sincera. Insomma oggi il rapporto tra M5S e alte burocrazie ministeriali volge al bello in molti casi, con evidenti effetti di rasserenamento del clima nei palazzi che contano. Ciò è ancora più vero se si considera l’affermarsi della linea Di Maio, di gran lunga più affidabile per quei mondi rispetto a quella Grillo-Di Battista.

Il secondo elemento necessario per cogliere il punto è invece tutto fuori dal palazzo, si tratta delle dinamiche di consenso. Si faccia attenzione a un aspetto molto importante da considerare: il livello attuale del M5S (diciamo tra il 20 e il 25 %) è inferiore a quello di marzo 2018 ma infinitamente più gestibile, perché stare sopra il 30 genera tensioni molto forti in tutto il sistema. È esattamente la situazione rovesciata rispetto a quella di Salvini, che invece oggi con i sondaggi che lo stimano al 30 % (e spesso anche oltre) è soggetto a pressioni micidiali su tutti i fronti, perché diventa il nemico politico di tutti (o quasi) gli attori presenti sulla scena.

Infine c’è un aspetto non meno importante e tutto relativo al tipo di leadership che proprio Salvini ha esercitato sin qui. Per arrivare ai risultati ottenuti il leader della Lega ha spinto l’acceleratore in tutte le direzioni, sfidando piazze e movimenti antagonisti di ogni genere, esponendosi ad una presenza radio-televisiva e sui social massiccia, accettando senza indugio polemiche su ogni fronte, dal fascismo al caso Siri. Insomma una strategia inevitabilmente logorante, anche se gli ha consentito di issarsi fino a percentuali di consenso che certamente lo porteranno ad arrivare primo alle prossime elezioni europee (mentre alle politiche arrivò terzo, è bene ricordarlo).

Cosa verrà fuori da tutto questo nessuno lo sa, anche perché lo scenario si complica anche per effetto di vicende giudiziarie che, come sempre in Italia, non sono prive di effetti politici. Salvini dunque arriverà primo il 26 maggio, ma in quella vittoria ci sono elementi di fragilità strutturale che farà bene a considerare con attenzione. La strategia dell’uno contro tutti è per molti versi inebriante, ma raramente efficace col passare del tempo.

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