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Il caso Siri conferma che il garantismo non è ancora spendibile in Italia

La vicenda del sottosegretario Armando Siri, in pratica dimissionato dal governo contro la sua volontà, la dice lunga su molti aspetti della politica italiana attuale. Come il presidente del Consiglio ha giustamente sottolineato, la decisione è stata tutta politica.

Il richiamo alla sobrietà rivolto ai Cinque Stelle (“non cantate vittoria!”), contestualmente all’invito alla Lega a non chiudersi in modo corporativo, chiarisce come per Conte la sua decisione non sia stata dettata da motivi di merito. D’altronde, essere “giustizialista” per chi è stato avvocato sarebbe quasi un controsenso! La domanda da porsi è però perché ancora oggi, a venticinque anni da Mani Pulite, il garantismo non sia ancora politicamente spendibile nel nostro Paese.

E qui veniamo ai Cinque Stelle che, da una prospettiva del genere, sono culturalmente molto lontani, salvo poi a essere molto comprensivi, diciamo così, con i propri affilati (è questo fra l’altro un canovaccio ricorrente in questi anni non solo in casa grillina).

Restando invece alla “vittoria” portata a casa da Luigi Di Maio sul caso Siri, sottolineata un po’ dai commenti di tutti i giornali, è indubbio che essa tende a ribadire certi rapporti di forza in seno al governo. È vero che i sondaggi sul voto odierno sembrerebbero contraddire quei rapporti di forza, ma intanto la politica si fa con il Parlamento in carica e non con uno che non c’è e che dopotutto è anche eventuale. Da qui alla fine della legislatura, i Cinque Stelle hanno deciso di agire su un doppio binario: non spezzare il filo che tiene in vita il governo, ma stressare quanto più è possibile l’alleato e sottolineare davanti agli elettori le differenze nei suoi confronti. Una scommessa e un gioco pericoloso al tempo stesso, ma è questa la strategia che il Movimento ha elaborato circa un mese fa.

È vero perciò, come sottolineava ieri Benedetto Ippolito su queste colonne, che il governo Conte si presenta sempre più in questa fase come un governo di antinomie. Ciò è però dovuto a una precisa strategia e non fa venire meno le ragioni del “contratto” fra diversi stipulato l’anno scorso. Un governo tecnico continuerebbe a non essere gradito né ai cittadini né probabilmente ai mercati. E lo stesso il centrodestra continuerebbe probabilmente a non avere numeri sufficienti. Il fatto poi da considerare, in un’ottica diciamo così metapolitica, è che, accanto al cleavage destra-sinistra, su cui si fonda il ragionamento di Ippolito, continua ad esserci un’altra forte linea di divisione: quella fra il vecchio potere, legato a certe ben identificabili élite europee e “globaliste”, e il nuovo, che in verità stenta ad avere connotati precisi e “presentabili”. E questo varrà, a mio avviso, almeno fino a quando i Cinque Stelle, che pure hanno molte venature di sinistra nella loro ideologia, si porranno come forza del cambiamento.

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