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Per Tria è l’ora di una Bce formato super

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Mario Draghi, almeno ufficialmente, non è d’accordo. Ma il ministro dell’Economia Giovanni Tria, durante la sua lectio al global sustainability forum organizzato dalla Business School della Luiss a Villa Blanc, ha lanciato lo stesso il sasso (parole che tuttavia, in serata, Via XX Settembre ha precisato). La Bce dovrebbe iniziare a rivedere il perimetro dei suoi interventi, ampliando lo spettro della propria azione, andando ben oltre il Qe. Non solo dunque la stabilità dei prezzi, ma anche il sostegno diretto ai Paesi con alto deficit, al fine di consentire un maggiore spazio di manovra per gli investimenti. Un cambio di missione che però lo stesso governatore Draghi (in scadenza di mandato), ha più volte respinto. L’ultima il 13 settembre scorso: “il mandato della Banca centrale europea è di assicurare la stabilità dei prezzi nel medio termine e non di finanziare il deficit degli Stati”.

LE PAROLE DI TRIA

Tria però ha lanciato la sua proposta, ben consapevole del fatto che una simile operazione richiederebbe un complesso cambio di statuto. “Credo sia venuto il momento di affrontare il tabù della monetizzazione peri il finanziamento in moneta del deficit”, ovvero l’intervento diretto della Banca centrale nelle emissioni. “Non dobbiamo dimenticare – ha detto Tria – che esiste un secondo modo di finanziare un deficit, che è il finanziamento monetario. Questo non è più a disposizione di un singolo Paese, ma almeno sul piano teorico lo è per l’Europa, anche se ciò richiederebbe una non prevedibile revisione dello statuto della Bce”. Ma di che cosa si tratta tecnicamente?

LA BCE SECONDO TRIA

Il meccanismo auspicato da Tria prevede la possibilità per uno Stato membro di coprire il proprio deficit vendendo alla Banca centrale i propri titoli in cambio di moneta per finanziarne l’acquisto. Il costo di emissione di moneta per la banca centrale è quasi nullo, ma con questa moneta la banca centrale può acquistare titoli di Stato, che hanno invece un rendimento positivo. L’operazione è di per se vantaggiosa perché l’emissione di titoli di Stato sul mercato comporta il pagamento di interessi agli investitori e la necessità di rinnovare i prestiti in scadenza. Una monetizzazione del debito risulta quindi particolarmente allettante quando il debito pubblico è elevato, come in Italia, e quando esiste il rischio che i mercati inizino a dubitare della sua sostenibilità.

LO SCOGLIO DEI TRATTATI

C’è però un altro ostacolo oltre alle remore di Draghi. I Trattati fondanti dell’Unione, che vietano alla Banca centrale europea qualsiasi forma di finanziamento degli Stati membri di Eurolandia. La prova è anche nella richiesta arrivata lo scorso anno dallo stesso governo italiano, che ha chiesto la cancellazione di 250 miliardi di debito italiano detenuto sotto forma di Btp dalla Bce. Cancellazione del credito tecnicamente impossibile perché gli acquisti di titoli nell’ambito del quantitative easing, del resto, non sono mai effettuati direttamente dai governi, ma sempre sul mercato.

DEBITO E ANCORA DEBITO

Per Tria in ogni caso, Bce o meno, il problema dei problemi è e rimane il debito. Che per essere ridotto necessita di un’unica ricetta: la crescita. “Se vi sarà una ripresa forte in Europa e nel mondo ne saremo trascinati verso l’alto e potremo forse ripristinare le condizioni per una riduzione del rapporto debito-Pil, e noi prevediamo che ciò possa accadere. Con il Def programmiamo un percorso non troppo rapido verso il pareggio di bilancio, non troppo rapido perché sarebbe dannoso per la nostra economia e il nostro Paese ma il percorso c’è”. In serata tuttavia da Via XX Settembre è arrivata una precisazione. Il ministro nel suo discorso non ha parlato della monetizzazione del debito italiano, ma ha fatto un discorso generale, peraltro legato alla sola spesa per investimenti.

 

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