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Il futuro della farmaceutica tra sfide e innovazione

Curarsi costa tanto, ma stare male forse costa un po’ di più. L’Italia del deficit e dello spread sempre un po’ troppo alto non si fa mancare nulla, nemmeno le contraddizioni. Perché storcere il naso ogni qual volta che si parla di farmaci? Di terapie? Di innovazione? Il Paese con la prima produzione farmaceutica d’Europa (31,2 miliardi di euro, superiore alla Germania e non capita tutti i giorni) fatica ancora ad assorbire una cultura industriale che invece farebbe bene. Ne sanno qualcosa le case farmaceutiche italiane e quelle straniere che investono in Italia, che ogni anno combattono contro regole contorte e incerte, tasse elevate e un certo livello di pregiudizio che spesso intacca il rapporto tra mondo del pharma riunito in Farmindustria (oggi Giorgio Bruno è stato confermato presidente del gruppo Produttori Conto Terzi di Farmindustria per il biennio 2019-2021) e legislatore. Eppure l’Italia è ancora un Paese per fare impresa.

Del futuro della farmaceutica tricolore si è parlato questo pomeriggio nell’auditorium dell’Ara Pacis, nel corso del convegno Quale futuro per la farmaceutica? La sfida dell’innovazione per la salute, organizzato dall’associazione Fino a prova contraria, presieduta dalla giornalista Annalisa Chirico. Sul palco, per un confronto a viso aperto, la vicepresidente della Luiss, Paola Severino, gli economisti e docenti Nicola Rossi e Fabio Pammolli e il viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia. Insieme a loro, anche una pattuglia di manager delle più importanti case farmaceutiche attive in Italia: Maurizio De Cicco (Roche), Pasquale Frega (Novartis) e Fabrizio Greco (Abbvie).

Il senso dell’incontro è stato dato dallo stesso Rossi che ha descritto la farmaceutica italiana come “un settore leader, donna, globale in una parola di successo. In un mondo globalizzato e soprattutto normale, un settore di successo non dovrebbe far paura, casomai dovrebbe suscitare curiosità. E invece oggi, un po’ senza motivo, ritroviamo la farmaceutica italiana al centro di diversi fronti polemici”. Secondo Rossi “è tempo di combattere il pregiudizio sul pharma, che rende un po’ strano il rapporto tra l’Italia e l’industria”. Della necessità di “eliminare il virus dell’incertezza” intorno all’industria farmaceutica ha parlato invece il presidente e ad di Roche Italia De Cicco. “Ogni anno il nostro comparto investe miliardi in ricerca e sviluppo, questo è uno sforzo straordinario che non può e non deve essere mal visto”. Secondo Frega “l’investimento nella salute è un investimento enorme anche nella crescita del Paese. L’Italia sul settore farmaceutico sta registrando degli avanzamenti importanti, che l’hanno portata a curare malattie molto difficili”. Stessa visione per Greco. “L’innovazione farmaceutica ha un valore per il cittadino, per il Paese. Malattie un tempo incurabili oggi lo sono, la lista è lunga. C’è un valore terapeutico nell’innovazione farmaceutica”.

Paola Severino, avvocato e vicepresidente Luiss, ha portato l’esempio della Toscana, una dei polmoni farmaceutici italiani. “In Toscana abbiamo la pharma valley con alcune delle aziende farmaceutiche più importanti che a livello di produzione supera addirittura la Germania. E Quando noi vinciamo 1 a 0 sulla Germania non è mai una cattiva notizia. Detto questo ci sono delle problematiche di regolamentazione, ai quali si deve sopperire”. La chiusura dei lavori è stata affidata al viceministro Garavaglia. “Fare impresa oggi in Italia richiede tre elementi: regole, soldi e tempo e nessuno di questi tre fattori non può fare a meno dell’altro. Le regole devono essere semplici, chiare e certe, questo è un presupposto fondamentale non solo per l’industria farmaceutica ma in generale per tutta l’industria”. Per il numero due del Mef “il farmaceutico non deve temere, noi stiamo semplificando un sistema che fino ad oggi era molto complesso, i passi avanti li stiamo facendo”. Garavaglia ha poi toccato, incalzato dalla stessa Chirico, la delicata questione della procedura di infrazione ai danni dell’Italia. “Quest’anno puntiamo a fare un deficit al 2,1%, l’Europa si aspettava qualcosa in più direi che è un presupposto su cui ragionare e trattare. Di più, è un punto a nostro favore che ci permetterà di evitare la procedura”.

 

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