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La Marina targata Cavo Dragone secondo Sanfelice di Monteforte

Occorre dare pieno compimento alla Legge navale, proseguire il processo interforze e prepararsi alle nuove frontiere dei conflitti marittimi. Sono queste le priorità di Giuseppe Cavo Dragone, nuovo capo di Stato maggiore della Marina militare, secondo l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, esperto militare e professore di studi strategici. A lui abbiamo chiesto quale sarà la tabella di marcia dell’ammiraglio scelto dal Consiglio dei ministri per prendere il posto di Valter Girardelli, con cui si passerà il testimone oggi a palazzo Marina. Dall’Artico alla cyber-security, sembrerebbero essere molte.

Ammiraglio, quali sono secondo lei le principali sfide che la Marina è chiamata ad affrontare nei prossimi anni?

Sono quelle che si stanno rivelando da qualche tempo al grande pubblico. Abbiamo tutti notato le recenti parole del presidente Sergio Mattarella sul ruolo della Marina. Era da tanto tempo che un capo dello Stato non si esprimeva in termini così chiari e ciò testimonia la situazione di favore di cui la Forza armata comincia a godere. Dieci anni fa, la Francia già parlava di marittimizzazione dei conflitti. Oggi il fenomeno è evidente a tutti, dai recenti episodi nel golfo dell’Oman all’aria tesa nel Mar cinese meridionale, sino alle vicende relative alle piattaforme nelle acque di Cipro. Tutti, insomma, hanno dovuto riconoscere che i conflitti si sono sempre più marittimizzati, e la Marina lo ha fatto prima di tutti.

Da questo è derivata la Legge navale?

Sì. Non è stato un regalo alla Marina per via del fatto che all’epoca il capo di Stato maggiore della Difesa appartenesse alla Forza armata. È stato piuttosto l’inizio della comprensione del fenomeno da parte delle leadership. In tal senso, la prima sfida della Marina, e quindi del suo nuovo capo di Stato maggiore, è portare avanti la Legge navale. Ci vollero sforzi per metterla in moto e ora sono necessari per portarla a compimento. Per questo, serve attenzione verso il Parlamento, verso il governo e verso l’opinione pubblica, la quale deve necessariamente restare attaccata al tema.

D’altra parte nei prossimi anni, sotto la guida di Cavo Dragone, la Marina riceverà diverse nuove unità previste dal Programma navale.

Sì, ma un capo di Stato maggiore ragione almeno a distanza di cinque anni, se possibile di quindici. Lo Stato maggiore controlla che l’oggi si svolga normalmente, ma ha anche il dovere di pensare al domani. E il domani è buio, contraddistinto da un mondo di amicizie sempre più limitate e di inimicizie sempre più profonde. Il contesto internazionale è sempre più complesso, con alleanze soggette a limitazioni crescenti e divergenze profonde con chi ci odia per davvero.

A chi si riferisce?

Ad alcune componenti della galassia islamica, solo per fare un esempio.

Nelle parole del presidente Mattarella che lei ha ricordato, c’era anche il riferimento alla centralità del Mediterraneo. È una riscoperta necessaria per gli interessi del Paese?

Certamente, ma purtroppo ancora non lo è per il grande pubblico. Siamo un popolo di montanari, rivolto per lo più verso l’entroterra. Eppure la terra rappresenta il 29% della superficie del globo. Inizieremo a capire che la dimensione marittima è importante a forza di notizie di petroliere colpite, navi rapite e incidenti tra americani e cinesi. Per noi, il Mediterraneo è la parte centrale di una caramella, con due passaggi obbligati su cui si avvita e da cui si apre al resto del mondo. È per questo che abbiamo sempre delle navi nell’oceano indiano, non perché ci piace, ma perché comprendiamo che il pericolo viene da lì. Si parla in tal senso di “Mediterraneo allargato”, una dimensione in cui rientra anche la rotta commerciale che va dal Golfo di Aden allo stretto di Malacca.

In ambito marittimo c’è chi considera l’Artico come la nuova frontiera della competizione globale. L’Italia può dire la sua?

L’Artico ha delle potenzialità enormi. Noi italiani ne abbiamo un’altra: essere simpatici a tutti coloro che vi si affacciano. Se davvero si svilupperà come nuova frontiera, il ruolo di paciere che il nostro Paese potrà svolgere sarà massimizzato. Certo, a noi non interessa se non per ragioni di ricerca scientifica e di estrazione di risorse. La rotta commerciale che vi si sta sviluppando in realtà ci va a danneggiare, ma restano comunque i suddetti argomenti a favore per osservarne l’evoluzione con interesse.

L’ammiraglio Cavo Dragone ha un profilo spiccatamente interforze. Ritiene che la scelta sia stata ragionata anche in tal senso, in un momento in cui la dinamica interforze irrora lo strumento militare?

Ormai tutti i vertici hanno una connotazione interforze ed è giusto che sia così. Tutta la parte alta della gestione delle crisi è interforze. Basti pensare alle forze speciali, già comandante da Cavo Dragone, le quali rappresentato la nostra punta di lancia. Sono nate interforze e si svilupperanno sempre di più in tal senso. E così deve andare. Questa è la seconda grande sfida del nuovo capo di Stato maggiore della Marina: migliorare le capacità delle forze speciali, e credo che l’ammiraglio Cavo Dragone conosca piuttosto bene l’argomento.

Le unità navali della Marina militare sono utilizzate spesso anche nelle campagne all’estero per sostenere l’export nazionale. Vede il trend in positivo?

Si tratta della fase 2. La fase 1, che la precede, è lo sviluppo di armamenti, e questa sarà un’altra sfida di Cavo Dragone. C’è tutta una nuova generazione di armi che deve entrare in servizio, con tecnologie innovative e, soprattutto, caratteri di cyber-security maggiori. Poi arriva la fase 2, cioè la presentazione all’estero e la valorizzazione dei prodotti. La Legge navale è la piattaforma ideale per farlo, ma ci sono tre elementi da considerare. Primo, l’interesse a fare armamenti in Italia, in modo da dare lavoro e non essere obbligati a pagare a qualcun altro in valuta pregiata. Secondo, la consapevolezza che in questo mestiere siamo particolarmente bravi. Terzo, la necessità di imparare a presentare all’estero quanto realizzato, perché anche questo non è semplice. Se ci si riesce, ne beneficia tutto il sistema-Paese, ed è il modo più economico per fare Difesa.

Ci spieghi meglio.

Relativamente alla Legge navale del 1977, si calcolò che essa non costo nulla dal punto di vista di sistema-Paese. Il numero di miliardi di lire spesi fu pari alle commesse estere ottenute. Ciò potrebbe succedere di nuovo, considerando che rispetto a quarant’anni fa c’è poco da inventarsi. Anzi, le nostre grandi aziende, Fincantieri e Leonardo, ha maturato clienti piuttosto affezionati. La politica deve fare ben poco di nuovo.

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