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Così l’ipotesi di un Conte bis spacca la Lega

Pomeriggio di fuoco a palazzo Madama. La tanto attesa informativa del premier Giuseppe Conte sull’inchiesta della procura di Milano per presunti fondi russi alla Lega si è conclusa in un clima tesissimo.

LA PROTESTA M5S

Vuoti i banchi dei senatori del Movimento Cinque Stelle. Un segnale da molti interpretato come una ripicca contro l’avvocato per aver dato il suo benestare alla Tav, “non c’è più una maggioranza” chiosa su twitter il segretario del Pd Nicola Zingaretti, e gli fanno eco i colonnelli di Forza Italia, “si torni al voto”. Per il M5S Michele Giarrusso, zoccolo duro della fronda no-Tav del Movimento, l’informativa è stata “la Caporetto del Movimento”. Ci mette il peso da 90 anche la pentastellata Roberta Lombardi: “Il M5S decida se essere la stampella della Lega”. Fonti M5S buttano acqua sul fuoco, minimizzano la protesta in aula e puntano il dito contro il vicepremier Matteo Salvini. “Ribadiamo il nostro rispetto per il presidente Conte ma oggi non era lui a doversi presentare nell’Aula del Senato per rispondere all’informativa sul caso Russia-Lega”.

CONTE E IL RUSSIAGATE

In mezz’ora di discorso in aula, costantemente interrotto dai banchi dell’opposizione, Conte ha messo i puntini sulle i sul “Russiagate” italiano. Con Salvini ha scelto di usare i guanti, ribadendo la sua piena fiducia nei membri dell’esecutivo e sottolineando la totale estraneità di Gianluca Savoini alla compagine governativa. La palla ora è nel campo della procura di Milano, ha detto il premier, alla presidenza del Consiglio non resta che assicurarsi che ai prossimi incontri diplomatici ufficiali non partecipino più personalità esterne.

IL MONITO A SALVINI

Il passaggio più politico dell’informativa però ha avuto poco e niente a che vedere con il caso “Moscopoli”. Il premier ha esordito ribadendo la centralità del Parlamento e la necessità dell’esecutivo di confrontarcisi di continuo. Una frecciata a Salvini, che ha dato forfait all’ultimo cassando l’intera vicenda come “fantasia”. Poi l’affondo che ha messo sull’attenti la maggioranza. Sarà nelle mani del Parlamento e di nessun altro che Conte rimetterà, qualora venissero meno le condizioni, il suo mandato di presidente del Consiglio: “A questo consesso tornerò ove mai dovessero maturare le condizioni di una cessazione anticipata dal mio incarico”.

Un avviso in direzione via Bellerio: solo l’emiciclo potrà staccare la spina al governo. Lì, a dispetto dei sondaggi che vedono ormai la Lega sfiorare il 40% e i Cinque Stelle avvicinarsi pericolosamente alla soglia psicologica del 15%, sono i pentastellati ad avere una robusta maggioranza consegnata dal voto del 4 marzo 2018. Numeri alla mano, il Movimento potrebbe davvero rinnovare l’incarico a Conte, anche con una compagine alternativa. E benché i tentativi di interlocuzione lanciati in direzione M5S da esponenti Pd come Dario Franceschini siano stati in questi giorni frettolosamente rispediti al mittente dal leader Luigi Di Maio e da una fronda compatta dei dem, l’incubo di un Conte bis in aula continua a tormentare il sonno della Lega.

LEGA SPACCATA IN DUE

“Il partito è spaccato in due – spiegano fonti di via Bellerio. La schiera di leghisti che chiede a Salvini di aprire una crisi prima che sia troppo tardi e di capitalizzare il bagaglio elettorale fotografato dai sondaggi si allarga di ora in ora, “è già maggioranza”. A guidarla c’è Giancarlo Giorgetti, che, dicono, ha avuto modo di parlarne direttamente con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella giovedì scorso, quando la rottura sembrava davvero a un passo.

I DUBBI DI SALVINI

Dall’altra parte c’è Salvini con la sua cerchia di fedelissimi, che tiene tirato il freno a mano e teme che rompere adesso spianerebbe la strada a un governo confezionato in Parlamento o, peggio, tecnico. Singolare la diversa lettura che nel partito è stata data dell’apertura di Conte alla Tav. “Per Salvini è un successo, la prova che restando al nostro posto si possono strappare importanti concessioni, l’obiettivo è ottenere lo stesso sulle autonomie – è il ragionamento in casa Lega – Zaia e Fontana non avranno il benestare di Conte su tutte e cento le materie ma potranno comunque gridare vittoria”.

La ceduta di Conte sul piano Tav ha invece lasciato a bocca asciutta tanti nel partito. “Soprattutto i big del governo, che hanno la certezza di essere ricandidati, sperano al prossimo giro di ottenere un incarico più importante”. Di quel 38% di voti che i sondaggi danno oggi in tasca alla Lega “almeno il 10% è fluttuante”, e rischia di sparire al vento se dovesse continuare la convivenza forzata a Palazzo Chigi.

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