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Libia: cessate il fuoco immediato. Il documento congiunto firmato dall’Italia

Cinque paesi molto importanti per l’evoluzione del processo in Libia hanno diffuso un documento congiunto in cui chiedono la cessazione immediata delle ostilità a Tripoli e il ritorno al processo politico mediato dalle Nazioni Unite.

I cofirmatari sono Egitto, Francia, Italia, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti. Washington ha messo il peso politico globale sul testo, facendolo diffondere per primo al dipartimento di Stato (ieri, nelle prime ore della serata in Italia). È il secondo documento del genere (il primo unilaterale a ) reso pubblico da Foggy Bottom da quando sono iniziate le ostilità, frutto della campagna di conquista lanciata dal signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, per rovesciare il governo che l’Onu ha insediato tre anni fa nella capitale.

I sei paesi esprimono “profonda preoccupazione” per la situazione a Tripoli e ricordano che “non vi può essere soluzione militare”. “La violenza in corso è costata la vita a quasi 1.100 persone, ha provocato oltre 100 mila sfollati e alimentato una crescente emergenza umanitaria. Gli scontri hanno minacciato di destabilizzare il settore energetico della Libia ed esacerbato la tragedia delle migrazioni umane nel Mediterraneo”, dice il comunicato.

Per l’Italia è un bel risultato. La diplomazia di Roma ha sostenuto da sempre il governo onusiano — impersonato da Fayez Serraj, ma rappresentato anche da altri elementi con hanno capacità di tessere relazioni, come il suo vice Ahmed Maiteeg, che bazzicano costantemente i corridoi degli esecutivi italiani. La linea dei governi italiani è stata sempre quella del “dialogo inclusivo”, sebbene gli ultimi fatti di cronaca — il bombardamento sul centro migranti, è quello di ieri su un ospedale — rendono Haftar un attore poco potabile per il futuro del paese. Il documento congiunto con Washington, per l’Italia è una parziale riaffermazione di un interessamento americano che sulla Libia non è così concentrato — la Casa Bianca nei mesi scorsi è sembrata avvicinarsi a Haftar, con una telefonata diretta del presidente Trump, sebbene gli altri apparati dell’amministrazione abbiano riportato la posizione americana su una traiettoria più vicina al processo Onu, come quella fatta uscire dal dipartii Stato.

La presenza tra i firmatari del documento di paesi come Egitto ed Emirati Arabi è molto importante, perché sono da sempre gli attori esterni che sostengono le ambizioni di Haftar, con interessi relativi: gli egiziani hanno una presa territoriale storica sulla Cirenaica, la regione orientale, e per questo cercano di veicolarne le dinamiche; in più condividono con gli emiratini la volontà di andare contro le visioni islamiste rappresentate da alcuni gruppi della Tripolitania sponsorizzati dall’esterno da Qatar e Turchia. È anche questa dimensione extra libica ad aver esacerbato le divisioni negli ultimi anni.

Infine il ruolo di Francia e Regno Unito. Parigi è stata recentemente scoperta nel suo doppio gioco libico per la seconda volta: i francesi, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno avallato il processo che ha portato Serraj a Tripoli, ma hanno anche fornito appoggio sul campo a Haftar (più in chiave di sicurezza, un uomo forte che avrebbe potuto controllare la Libia se Serraj avesse fallito, un rischioso piano B). Ora devono rendere pubblicamente sostenibile la propria posizione e  spingere per un cessate il fuoco può essere utile in questo senso. Il Regno Unito è invece legato a Misurata, città della Tripolitania i cui combattenti sono molto attrezzati e insieme agli americani hanno sconfitto i baghdadisti a Sirte tre anni fa, mentre ora sono le unità di difesa anti-Haftar a sud di Tripoli.

Non è chiaro quanto il documento riesca realmente a influire sui processi sul campo — dove persiste una situazione di stallo, una guerra civile di posizione che aggrava ogni giorno il numero delle vittime — ma l’allineamento politico-diplomatico dietro a questa richiesta di cessate il fuoco, in questo momento, sembra eccellente. Manca la Russia, un attore che dalla detronizzazione di Gheddafi del 2011 affronta la situazione in Libia come elemento con cui sollevare critiche e criticità al processo occidentale; Mosca è un altro membro del CdS Onu che però s’è mostrata dietro Haftar, ma in questa fase ha spinto molto per il deconflicting.

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