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Tutti gli interessi in comune tra Mosca, Washington e Roma. Parla Scalea

Si discute da tempo ormai della volontà di Donald Trump di avvicinare Washington a Mosca. Nonostante le resistenze interne, numerose tra falchi e colombe, l’approccio “imprenditoriale” del Tycoon consente di osservare ogni situazione di inimicizia e rivalità in un’ottica di convenienza e mutuo interesse. Anche Vladimir Putin, che ha dimostrato in alcuni casi di cercare una distensione sia con l’Unione europa che con gli Stati Uniti, fronteggia forti resistenze interne. L’Italia si trova in un momento di cesura, in quanto i principali partiti di maggioranza hanno in parte manifestato la volontà di partecipare a questa distensione. Se non, addirittura, a fare da ponte tra i due “litiganti”. Il presidente del Centro Studi Machiavelli, Daniele Scalea, in occasione della visita a Roma di Vladimir Putin, ha discusso con Formiche.net la strategia russa e le prospettive di dialogo con l’area euro-atlantica.

Come descriverebbe la strategia della Russia nei tre scenari che destano più interrogativi, ovvero nella questione dei rapporti con gli Stati Uniti (e caso Russiagate), di quelli altrettanto rilevanti con l’Europa, e nello scenario mediorientale?

La Russia vive tradizionalmente in una “sindrome d’accerchiamento”. Come tutte le sindromi è l’insieme di sintomi di una realtà più profonda, che non vanno da ricercarsi solo nella psiche e nel portato storico della Russia, ma anche nell’effettiva e reale spinta degli Usa verso l’erosione dell’area d’influenza russa, e in quella cinese verso la colonizzazione dell’Estremo Oriente russo. Alla luce di ciò e delle varie debolezze (in primis economica) di Mosca, il Cremlino ha spesso atteggiamenti sospettosi e machiavellici. Ciò non significa tuttavia che non si possa giungere, anzi tornare, a positive relazioni con la Russia di Putin, che ha nella sua lunga carriera politica spesso mostrato la disponibilità ad accomodamenti e atteggiamenti ragionevoli, come ad esempio dopo l’11 settembre 2001.

Il Consiglio Nato Russia nacque nel 2002 a Pratica di Mare. Ci sono ancora le basi – a suo avviso – perché l’Italia rappresenti un ponte tra alleanza atlantica e Russia?

Si tratta di un ruolo naturale per l’Italia, alla luce della posizione geografica, della storia e degli interessi strategico-economici. Non a caso quasi tutti i partiti italiani, chi con maggiore chi con minore entusiasmo, sostengono una linea di distensione con la Russia. Ribadendo una ferrea lealtà atlantica, soprattutto nei rapporti con la Cina, Roma può acquisire quell’affidabilità sufficiente a maggiori spazi di manovra rispetto alla Russia.

Quale ruolo potrebbe avere la Lega, rappresentata dal vicepremier Salvini, (che sia da Trump sia da Putin é considerato un interlocutore affidabile) nei rapporti tra area euro-atlantica e Russia?

Salvini appare il leader politico che coltiva più chiaramente la prospettiva di un’Italia alleata degli Usa di Trump ma capace di ricoinvolgere la Russia nel dialogo con l’area euro-atlantica. Lo stesso Trump, per quanto affronti consistenti resistenti in seno all’establishment di Washington, coltiva verosimilmente una concezione strategica non troppo dissimile, con una rinnovata cooperazione pan-occidentale capace di controbilanciare l’ascesa cinese, ridurre gli oneri americani nel mondo e forgiare un nuovo sistema del commercio mondiale fondato sul fair trade.

Mosca é un attore decisamente attivo nel contrasto globale al terrorismo Jihadista, in particolare per quanto concerne l’Isis, sia sul piano territoriale in Siria che riguardo i Foreign Fighters. Potrebbe essere questo un piano di dialogo su cui fissare obiettivi comuni di lungo periodo tra Russia e Unione Europea?

Bisogna ammettere che in certi frangenti Mosca è sembrata offrire un contributo più coerente e sostanziale contro il jihadismo rispetto agli Usa di Obama – fatto denunciato anche da Trump quando, da semplice candidato, poteva permettersi più libertà. In un momento in cui l’amministrazione democratica americana coltivava il disegno di un’alleanza con l’Islam Politico – finito poi nel golpe egiziano e nei disastri in Siria e Libia – la Russia è stata in prima linea contro questa minaccia. Ciò l’ha portata a collaborare con l’Iran, è vero, ma solo perché vari Paesi occidentali si erano schierati de facto dall’altra parte. Ora che l’ubriacatura pro-islamismo è finita anche da noi, e che Trump vede nei Fratelli Musulmani una minaccia ideologica per l’Occidente, si può e si deve tornare a ragionare con la Russia di sistemazione del Medio Oriente. Il che implicherà necessariamente un ridimensionamento dell’influenza iraniana, cosa invero che non dispiacerà affatto a Mosca.

In una recente intervista rilasciata al Financial Times, Vladimir Putin ha affermato che il liberalismo è “obsoleto”, e il multiculturalismo su cui si sono basate le democrazie occidentali per decenni non è più sostenibile su scala globale. Come può essere interpretata una cesura così netta da Roma?

La critica al multiculturalismo è ormai fatta propria da molti paesi europei, inclusa la componente leghista del nostro Governo. E anche la critica al liberalismo andrebbe interpretata come critica all’ordine internazionale liberale, ossia al sistema imperniato su diritto internazionale, organismi sovranazionali, limitazione delle sovranità nazionali. Lo stesso Trump potrebbe sottoscrivere l’idea, seppur con parole differenti. Perciò non parlerei di cesura.

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