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Perché la Grecia ha scelto di riconoscere Guaidó? C’entrano gli Usa

Il governo greco ha riconosciuto ufficialmente Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela, con la prima mossa politica forte dell’esecutivo del neo eletto premier Kyriakos Mītsotakīs. Nel comunicato diffuso dal ministero degli Esteri, Atene scrive che la decisione è stata presa “in sintonia con la posizione comune dell’Unione europea espressa in una dichiarazione dell’Alto Rappresentante Mogherini a nome dei 28”, ed in modo da permettere a Guaidò di “indire elezioni libere, trasparenti e democratiche”. Decisione subito accolta con compiacimento da Washington, centro del sostegno della rivoluzione senza armi del leader venezuelano che sta cercando di rovesciare il regime Maduro con lo stillicidio diplomatico — creato da un fronte internazionale forte, che dovrebbe lasciare il regime senza alternative se non lasciare la presa sul potere. “Applaudiamo” la scelta greca “per unirsi agli altri 54 paesi che riconoscono il Presidente ad interim Guaidó. Gli Stati Uniti continuano a lavorare con la comunità internazionale a sostegno del popolo del Venezuela mentre cerca di ripristinare la democrazia, la prosperità e la stabilità nel loro paese”, ha twittato Pence.

La mossa di Atene complica ancora la posizione dell’Italia, che a questo punto resta ancora più isolata nella sua linea ambigua. Roma non solo non riconosce pienamente il ruolo di Guaidó, unica dei Ventotto con Cipro e Slovacchia, ma ha espresso due letture diverse della situazione. Durante il suo recente viaggio a Washington, Matteo Salvini ha ribadito l’appoggio della Lega al presidente ad interim — una di quelle dichiarazioni che hanno segnato un netto cambiamento di rotta verso gli Usa del Carroccio, che, scandalo Salvini-Russiagate a parte, finora sembrava più diretto generalmente verso Mosca (alla guida del gruppo di paesi che riconoscono legittimo il regime Maduro, composto da Cina, Sudafrica, Cuba, Iran, Egitto, Siria e Turchia). L’altra forza di governo in Italia, il M5S, ha invece preso posizioni confuse, con alcuni esponenti che sono arrivati a esporsi a proposito di legittimazioni elettorali del regime (quando le organizzazioni internazionali hanno denunciato irregolarità alle votazioni). Contemporaneamente, Chigi ha preso la via dalla terzietà — né con Maduro né con Guaidó — mentre il Quirinale, centro dei contatti con gli Usa, ha lavorato per il riconoscimento del presidente ad interim, anche pensando alle condizioni della folta comunità italiana nel paese sudamericano.

Val la pena stigmatizzare che l’allineamento greco sulle posizioni pro-Guaidó spinte fin dall’inizio di questa esperienza storica da Washington (kudos a Mītsotakīs sono arrivati pubblicamente da diversi esponenti di Capitol Hill), riguarda questioni che vanno oltre il dossier. La Grecia, dopo essersi esposta per anni alla Russia e ultimamente alla Cina oltre modo, sta recuperando terreno con gli Usa. Contratti commerciali in bilanciamento alla penetrazione di Pechino nel tessuto politico-economico-infrastrutturale (porto del Pireo, rete elettrica), collaborazione (con acquisti) militare, cooperazione geopolitica in un quadrante caldissimo: l’EastMed. Washington ha mostrato particolare interesse nei confronti del Mediterraneo Orientale, spicchio di Mare Nostrum dalle potenzialità enormi dopo le recenti scoperte di reservoir gasiferi. L’Italia è nel dossier: la politica estera mossa da Eni è fortissima, perché è stata la ditta di San Donato Milanese a scoprire i pozzi giganti davanti alle coste egiziane, Zohor e Noor, e ha alcune concessioni a Cipro. Roma è anche parte di un progetto infrastrutturale che non nasconde la propria dimensione geopolitica già nel nome, il gasdotto EastMed, appunto. La partnership tra Grecia, Israele e Cipro, è benedetta dagli Stati Uniti, che non mancano occasione di marcare il proprio sostegno diplomatico. La posizione italiana è ambigua anche su questo, però: il governo giallo-verde ha rivisto gli accordi che il precedente esecutivo aveva raggiunto con gli altri tre paesi, coinvolgendo nel progetto Bruxelles. Ma anche qui con distinguo: i legisti sono più convinti, in un altro allineamento con gli Usa, i grillini più scettici (se non contrari).

In politica estera molte questioni sono collegate. Washington sta facendo un gioco forte nell’area orientale dell’Europa e del Mediterraneo, quella che lo stratega politico italiano Francesco Galietti definisce la “mezzaluna atlantista”, il disposto che scende dai Baltici, passa per i paesi orientali europei (i Visegrad e non solo) e arriva giù nel Mediterraneo dell’Est. Funziona anche in contenimento dell’asse Berlino-Parigi, ed ha già favorito — non senza un ruolo italiano — le nomine ai vertici europei di elementi certamente sposabili dal FraGer, ma non in cima alla lista delle loro preferenze. “Atlantisti di ritorno”, li chiama Galietti, come Mītsotakīs appunto, che ha avallato la cessione del porto del Pireo alla Cina decisa dal precedente esecutivo, e ora al governo torna su una traiettoria più atlantista sposando Guaidó.

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