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La Cina ringhia contro le proteste di Hong Kong. Il rischio repressione (anche per l’Italia)

La Cina militarista ha rotto il silenzio su Hong Kong e ha pubblicato un video drammatico diffuso dalla guarnigione delle forze armate popolari nell’ex colonia britannica, arrivato mentre il comandante locale dichiarava di essere determinato “a proteggere sovranità, stabilità, sicurezza e prosperità” del Porto Profumato.

[youtube]https://youtu.be/onLNtu-FxSc[/youtube]

Una dimostrazione di forza muscolare, un messaggio perentorio – le immagini riprendono diverse esercitazioni di aria, terra e mare, e il training delle unità antisommossa, che tra l’altro urlano “le conseguenze sono un vostro rischio” parlando in cantonese, la lingua di Hong Kong. Non una novità negli ultimi due giorni: segue infatti altri due messaggi dai toni militareschi lanciati agli hongkonghesi che da 43 giorni sono in protesta per la cinesizzazione del Paese (manifestazioni nate da una proposta di legge sull’estradizione verso la Cina, ormai passate su un piano socio-culturale e politico superiore, lo status di semi-autonomia).

Prima era stato segnalato l’ammassamento di truppe cinesi verso le caserme continentali limitrofe, poi un editoriale violento pubblicato sul Jiefangjun Ribao, il quotidiano dell’Esercito popolare di Pechino, in cui si scriveva che niente avrebbe ostacolato l’unificazione della Cina (allusione alle richieste di garanzie sull’autonomia di Hong Kong con un occhio alle mire indipendentiste di Taiwan).

Tutto arriva in un momento delicatissimo: lunedì 5 agosto, a valle di una serie di manifestazioni nel weekend, è previsto uno sciopero generale a Hong Kong convocato sull’onda delle proteste. Pechino sa che l’uso della forza trasformerebbe la crisi in una faccenda globale, ma intanto ci tiene a mostrarsi minacciosa – mentre nega che sta spingendo la cinesizzazione stracciando gli accordi che avrebbe garantito lo schema “un paese, due sistemi” fino al 2047.

Gli occhi del mondo monitorano la situazione anche perché la borsa locale è la terza più grande del mondo, e una crisi innescata dall’apertura di una stagione violenta sarebbe tremenda. Lunedì scenderanno in strada anche i funzionari del mondo della finanza, oltre che varie categorie di dipendenti pubblici.

Contraccolpi a livello internazionale che innescherebbero un “effetto domino […] immediato”, fa notare in un’intervista per il Sussidiario il sinologo Francesco Sisci, che  rileva che “l’economia italiana è la più fragile delle grandi economie, e potrebbe essere una delle prime a saltare”. L’economia hongkonghese soffre, e rischia di bloccarsi se i cinesi dovessero decidere di spingere sulla repressione – improbabile, in modo diretto nell’immediato, più possibile colpendo settori come quello del turismo (qualcosa di già visto a Taiwan) per emarginare i manifestanti.

Tutto ha un interesse anche per l’Italia. La comunità imprenditoriale italiana a Hong Kong è vivace, ma non nasconde qualche preoccupazione: chi è nel business da anni, fa notare che c’è anche da temere che passaggi come quello della legge per l’estradizione possano espandersi ad altri settori, con la Cina che potrebbe fare prove di forza politica tramite il governo locale. Il clima cambierebbe, perché un conto è lavorare ad Hong Kong per come è stato finora – ossia con un sistema dai contorni occidentalizzati – un altro è essere inglobati dal Dragone.

Hong Kong rappresenta il terzo mercato di sbocco delle merci italiane in Asia, preceduta solo da Cina e Giappone, e un vettore per la riesportazione di prodotti verso la Prc – il Paese è una piattaforma per il mercato del lusso delle merci italiane. Sarebbe di per sé un argomento sufficiente a sollecitare un interessamento del governo italiano per quello che sta succedendo, con le proteste che hanno preso la strada della richiesta aperta della democrazia e con Pechino nervosissima essendosi sentita non in grado di controllare un processo in una delle Cine prima di farlo diventare pubblico e internazionale.

Ma Roma per ora non ha preso posizioni rilevanti, sebbene il governo abbia avuto occasione diretta a inizio luglio, quando è stato firmato un accordo di collaborazione a livello universitario con Hong Kong. Le manifestazioni già infiammavano le piazze e riempivano le analisi sui principali media internazionali, così come le preoccupazioni degli imprenditori italiani non sono una novità, ma sono evidentemente passate poco tra i corridoi dell’esecutivo italiano – quello che quattro mesi fa ha firmato l’adesione alla Belt & Road Initiative cinese (e chissà: ci sono collegamenti?).

I disordini sono già un costo all’attività economica: le vendite al dettaglio, secondo i dati del Sole 24 Ore, sono in frenata del 10 per cento dall’inizio delle proteste. L’agenzia di rating internazionale Fitch ha confermato il rating AA+ a metà giugno, ma ha già già messo in guardia sui potenziali rischi in caso di perdita di fiducia da parte degli investitori internazionali.

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