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Bene la riduzione dei parlamentari, ma non si dica che è una “riforma”

A scanso di equivoci: sono favorevole al taglio dei parlamentari e considero merito assoluto del M5S avere messo in agenda (e in votazione) questo provvedimento che nessun altro movimento politico italiano avrebbe avuto il coraggio di proporre. Sono favorevole perché i tempi sono cambiati e nell’Italia digitale del XXIesimo secolo non è vero da nessun punto di vista che ci servono mille parlamentari eletti, sono favorevole perché osservo da vicino lo svolgimento della vita a Montecitorio e a Palazzo Madama ed ho così modo di constatare che gli impegni reali di deputati e senatori sono decisamente limitati, sono favorevole perché credo che riducendone il numero potremmo persino riuscire a rendere più solida la categoria, rendendola meno “inflazionata”.

Quindi ben venga il voto definitivo del 7 ottobre, che porterà a 400 i posti alla Camera e a 200 quelli al Senato contro i 945 (in totale) di oggi. Ma dico di più: bene che il Pd si appresti a votare a favore, dopo aver negato il suo sostegno nei primi tre passaggi parlamentari. Deve essere però chiaro a tutti che questa decisione importante non incide sostanzialmente nei meccanismi di funzionamento delle nostre istituzioni di rilevanza costituzionale e quindi non si può (su questo punto) prendere in giro i cittadini. Non si può cioè indicare la riduzione dei parlamentari come una “riforma” (addirittura “importantissima” secondo le parole del ministro D’Incà) capace di impattare decisamente sulla scarsa efficienza dei nostri massimi livelli istituzionali. E non lo si può fare per almeno quattro motivi, che ora provo ad elencare.

Punto primo: il bipolarismo perfetto non viene minimamente intaccato da questo provvedimento, restando un’anomalia tutta italiana ormai priva di ogni senso politico e di ogni riscontrabile praticità. Punto secondo: i rapporti tra governo e parlamento restano improntati ad una sostanziale ipocrisia, di cui il ricorso al decreto legge ed ai voti di fiducia (strumenti sempre più frequentemente adottati) sono spie di allarme ormai sistematicamente accese. Punto terzo: vige uno scollamento impressionante tra la nettezza dei sistemi di elezione di sindaci e governatori e quanto avviene a livello nazionale (come plasticamente evidenziato nella legislatura in corso). Punto quarto: rimangono aperti enormi problemi di suddivisione delle competenze (con annesse duplicazioni e contenziosi) tra Stato e Regioni, disciplinate nell’ormai celebre Titolo V della Costituzione (malamente riformato pochi anni fa). E allora ci pensino seriamente nella maggioranza: fermarsi alla riduzione dei parlamentari è meglio che niente, ma è lontano anni luce da realizzare quella virtuosa riforma istituzionale di cui parliamo (a vuoto) da anni.

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